«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 26 novembre 2017

Alta via



Amiche care, amici,

la montagna per me è il luogo della purezza, dell'innocenza, e della bellezza.
È per amore di questa bellezza che ho esercitato per diverso tempo l'arrampicata su roccia, finché ho potuto farlo. La salita di una vetta alpina è una perfetta metafora della vita, e della necessità prepotente che abbiamo di elevarci, non sopra il mondo, o altre persone, ma sopra noi stessi. Ed è anche una metafora perfetta dell'arte, dove solo uno sforzo e un impegno al limite delle nostre capacità fisiche e mentali ci consente di raggiungere un punto di vista nuovo, più chiaro e illuminante della verità che ci è data conoscere. Anche la progressione su roccia dunque, se applicata in modo sincero e senza arroganza, è ricerca di conoscenza. E la bellezza che riusciamo a raggiungere alla fine della nostra salita rappresenta questa conoscenza.

I versi che seguono sono il racconto di un episodio vissuto, anni fa, in compagnia di una amica con cui per un certo periodo ho effettuato alcune delle mie più memorabili arrampicate in montagna, sulle Dolomiti Bellunesi. Le "Torri" citate nel testo sono il gruppo delle Cinque Torri, a sud-ovest di Cortina d'Ampezzo, luogo di molte delle mie arrampicate, sempre tecnicamente molto semplici, tengo a dire.  Lei, che chiamo per discrezione con il nome fittizio di Erica, è una ragazza che era nata e vive tuttora tra quelle montagne, e che mi condusse per qualche tempo su alcune delle vie che conosceva, fuori dai percorsi più usuali e turistici.
Fu un periodo per me meraviglioso, lei mi parlava delle sue montagne, di come erano regolate da leggi antiche le valli, ancora non contaminate da un turismo sempre più violento e irrispettoso, io per lo più tacevo ed ascoltavo affascinata.
Certo, io mi innamorai di lei, ma naturalmente mi guardai bene dal rivelarglielo, anche se so che lo aveva in cuor suo intuito. Mai e poi mai avrei osato incrinare la sua cristallina innocenza, perché so che ciò avrebbe distrutto per sempre questo nostro legame di puro e fraterno affetto. E certo per me non fu facile, perché lei aveva dentro di sé tutto il fascino, la purezza e la bellezza di questi paesaggi, aspri e dolcissimi, che trasparivano come specchi lacustri dai suoi grandi e sognanti occhi celesti

Si è sposata con una Guida Alpina del suo paese, e ha due meravigliosi figli, un maschietto e una bambina. Entrambi hanno ereditato i suoi incomparabili occhi. Non la vidi più per anni, fino all'anno scorso, proprio a maggio, quando venne con la famiglia a Milano per un giro turistico, e mi chiamò. L'incontrai, per una giornata le feci da guida, tra il Duomo e il Castello. Poi, segretamente e dolcemente, piansi: succede quando ciò che di più bello ci donò il passato, casualmente, ci ripassa accanto, intatto. Come le sue montgne.

Con amore

M.P.







Alta via


Venne all'alba, Erica, l'amica
che tanto amai senz'esserne mai
stata amante, venne all'alba a destarmi.

L'amica dagli occhi glauchi
più puri d'una polla di fonte,
lei, dalle guance candide infocate

da un vigoroso pudore, come
al tramonto le cime cristalline
che le sono sorelle: venne

al mio fianco, nel nostro giaciglio
in quel maggio precoce, nella gelida
stanza di quel rifugio alle Torri.

Venne all'alba, e il mio corpo
ebbe un tremito al raro contatto
delle sue mani, e al suo fiato

soffiatomi come una brezza sul viso
mentre mi diceva, destandomi
con una dolcezza che mi pareva irreale:

"Vieni, vieni a vedere", ed è
ciò che feci, commossa, anche
un po' scossa, ma docilmente: e vidi.

La notte aveva donato, nel consueto
perfetto silenzio di queste vette
un inatteso manto bianco, ampio

e sontuoso, come un velo da sposa,
e ora, sempre in quel silenzio profondo,
riluceva contro il sole radente

come una seta preziosa d'oriente.
Una vista che pochi al mondo
hanno ventura di cogliere in vita.

Quelle vette, quei pinnacoli chiari
da parer trasparenti, quella piana,
inclinata al cielo e talmente bianca.

E quei i torrioni viola proprio sopra
di noi, severi e incombenti,
e le nubi in gara tra loro

per celarsi tra gli anfratti, questo era
il paesaggio attorno a noi, abbracciate,
e custodito in lei, Erica chiara,

come il tesoro in una segreta,
nella sua innocenza, adamantina
come la torre che avremmo salito

assieme quella stessa mattina.




Marianna Piani
Trieste, 20 Maggio 2017
.

venerdì 17 novembre 2017

Strada Napoleonica



Amiche care, amici,

mi piace, di tanto in tanto, affidarmi alla armonia dal sapore antico (e in certo modo senza tempo) di una forma chiusa, classicamente conclusa, e breve come il respiro di un pensiero preso un attimo prima che sfugga alla nostra memoria.
In questo caso il ricordo lontano di un luogo e di un affetto - le passeggiate per mano con mamma - mi hanno suggerito il motivo assolutamente "nobile" di un sonetto metricamente quasi "perfetto".
Decenni ormai di verso libero hanno reso il ricorso alle forme chiuse - di cui il sonetto di modello petrarchesco rappresenta forse quella più consolidata e tuttora insuperata - una scelta del tutto voluta, che ha un senso già nel fatto stesso di sceglierla tra le tante, anzi infinite possibilità.
In ogni caso, la forma chiusa in sillabe e rime precise e codificate costringe a una espressione estremamente sorvegliata e perfettamente calibrata, nulla può essere fuori posto, nulla affidato al caso, meno che mai all'alea dello stream of consciousness tipica delle espressioni poetiche contemporanee, con il rigore di una formula matematica.
L'emozione si affida a un codice di scrittura, proprio come la scrittura di una partitura musicale. Mantenere la spontaneità e la freschezza dell'ispirazione è la prima difficoltà, ma la rinuncia a priori della spesso abusata "facilità" compensa con una maggiore profondità e, alla fine, paradossalmente, a una maggiore autenticità.





Strada Napoleonica: sullo sfondo, il Castello di Miramare


 

Per chi non è nato e cresciuto come me a Trieste, dirò che la "Strada Napoleonica"  è storicamente una delle mete preferite per le passeggiate degli "indigeni" locali, una strada che percorre per un tratto la costiera a una non trascurabile altezza dal mare sottostante, offrendo un panorama impagabile sulla città, il suo golfo, e i dintorni.
Cito:

"La strada Napoleonica va dal parcheggio di borgo San Nazario, in periferia della frazione di Prosecco, sino alla piazzola dell'Obelisco di Opicina, e si trova quindi interamente nel comune di Trieste.
Il nome ufficiale del sentiero è strada Vicentina, dal nome dell'ingegner Giacomo Vicentini che ne progettò il tracciato e ne iniziò la costruzione nel 1821. La conformazione attuale è dovuta agli interventi di miglioramento effettuati nell'immediato secondo dopoguerra.
Sono circa 3,7 chilometri sul ciglione carsico, in alto rispetto al mare, con stupendi panorami su Trieste e sul suo golfo. Il sentiero è largo, praticamente in piano (si passa dai 276 m s.l.m. delle rocce di Prosecco ai 343 m della piazzola dell'Obelisco), e con buon fondo (strada bianca). La passeggiata è soleggiata ed al riparo della bora, per cui è piacevolmente percorribile anche d'inverno."

Con amore, amiche dilette e amici

M.P.







Strada Napoleonica


L'
accidentato sentiero percorso
da me bambina aggrappata serena
alla mano di mamma – svolta appena
dalla pineta sopra un mare pietroso.

Non ho rimpianto, né punto rimorso
d'avere abbandonato questa scena
di dolcezza e di pace – ormai lontana:
solo l'amaro del tempo trascorso.

Lo sciabordio del mare ed il sentore
dei gelsi fusi ai pini e alla aspredine
slava e mediterranea sono l'incanto

che dalla memoria travolge il cuore
come una mai obliata abitudine.
Ciò mi consola e mi ricovera il pianto.



Marianna Piani
Milano, 18 Maggio 2017
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sabato 11 novembre 2017

La nuda assenza



Amiche care, amici

vivere un amore a distanza è qualcosa di esaltante e doloroso insieme. La persona che si ama è fisicamente con noi solo per brevi tratti della nostra vita, per il resto ci separano miglia e miglia di volo. Oggi è tutto meno drammatico, grazie a skype e a molti modi di rimanere in contatto, ma certo non è la stessa cosa. Poi avviene che ci si incontri, finalmente, lei da me o io da lei, magari dopo mesi di lontananza, e la vita diventa di colpo come un meraviglioso sogno, la solitudine svanisce d'incanto, è come innamorarsi di nuovo per la prima volta. Così non c'è mai il tempo di costruire una consuetudine, l'emozione è intensa quasi come quella della prima notte assieme, il tempo diventa prezioso e viene vissuto come non ci fosse mai stato un passato e non ci fosse mai più un domani, minuto per minuto, con la massima intensità emotiva immaginabile.
Ma poi giunge, inesorabile, già largamente programmato ma sempre come fosse inatteso, e sempre troppo presto, il momento di un nuovo distacco, della partenza, del dirsi addio, e si cade nell'abisso dell'abbandono, anche se si sa bene che è un abbandono temporaneo. E davanti a noi si aprono ore e giorni e settimane, e forse mesi, che ci sembrano di colpo vuoti, insensati.
Questo rinascere e poi morire e poi rinascere, ciclicamente continuamente rinnovato, in questo tipo di amori è come dicevo all'inizio una dannazione e una benedizione insieme, un mettersi alla prova continuo, costante, un esercizio che, in quanto regge e si perpetua, rafforza indicibilmente il legame che ci unisce all'altra persona. Lungi da logorare il rapporto d'amore, lo tempra.
Ma, in prospettiva, rimane sempre quello che pare un sogno irraggiungibile, ma che presto si realizzerà: quando saremo finalmente e stabilmente insieme, a costruire finalmente la nostra dolce, meravigliosa consuetudine coniugale…

Vi lascio, dilette e cari, come sempre, alla lettura - con amore.

M.P.








La nuda assenza


Primo giorno, prime ore
senza lei, dopo
la sua partenza: ora
passerà il tempo, un tempo
vuoto, cavo, deprivato,
negato, lei assente,
un tempo, questo tempo
che non inizia, né
mai si esaurisce,
un tempo di per sempre,
un tempo di niente.

Camminare, ecco,
per un poco camminare
è ciò che mi resta
da fare: non pensare
al distacco, soltanto
camminare, qui nel parco,
un passo appresso all'altro,
tra i passanti indifferenti,
che non vedono, non vivono,
e non sanno il mio dolore,
e i cani, a spasso coi padroni,
occhi umidi che mi osservano
innocenti, annusandomi
interroganti
la mano tesa
ad accarezzare.

Camminare, per un'ora
o due, o tre,
in attesa di qualcosa
che non so, che forse
non voglio neanche sapere,
con un'ansia del tutto
vana, perché ormai
è già tutto fatto e non c'è
nulla d'inatteso, di temibile
nel già avvenuto; e così
camminare lungo i vialetti
sullo sterrato con i tacchi
che affondano come coltelli
nel vivo corpo della mia
desolazione – o è ghiaia –
non mi consola,
non mi solleva,
non mi lascia forza quasi
per respirare.

«Ecco, ora il volo sarà
quasi sopra il mare...»
mi dico, ad alta voce,
come se avessi qualcuno
di fronte a me, e invece
è solo il muro vecchio
d'un palazzo,
e solo così realizzo
d'essere uscita a parlare
a un cieco e muto
intonaco scrostato.

Devo accettare,
devo anzi prima capire
questa assenza sua
dalla mia vita,
sconvolta vita fatta
di ore che seguono a ore
come macerie,
questa mia vita
senza di lei.
Vorrei che fosse già finita,
così come assai presto
il destino comunque vorrà
in vece mia.

Penso soltanto che, presto,
presto, presto,
lei ritornerà, e con lei
tornerà a me
tutta la mia vita, tutta
la mia volontà di vita.



Marianna Piani
Milano, 16 Maggio 2017
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domenica 5 novembre 2017

La mia femminile bellezza


Amiche care, amici,

posso dire di essere una donna bella, abbastanza bella, insomma. E la mia (seppure non clamorosa) bellezza è un dono e un fardello che mi accompagna fin da ragazzina.
Sì, per una donna la bellezza è un dono, ma anche un grave fardello.
La bellezza fisica, per una donna in particolare, è attrazione, è seduzione, è qualcosa che può aprire porte ma anche spalancare baratri inaspettati. Ed è una condizione di continua, estrema fragilità, poiché ogni bellezza comporta l'onere di un costante giudizio esterno e di infiniti incessanti pre-giudizi. Senza contare poi il costo di una lunga e faticosa e dolorosa conquista di una percezione ed accettazione di sé stesse.

Credete che esageri? Ma pensate a cose minimali, quotidianissime, come ad esempio la libertà di uscire, e non solo la sera o la notte, da sole, senza camuffarsi, o tentare di rendersi invisibili. Un maschio giovane, normalmente di bell'aspetto, non ha problemi a farlo, è libero come l'aria. Una ragazza no, quasi mai può farlo senza incappare come minimo in sguardi e commenti, e spesso purtroppo anche peggio. Quante volte nella mia non lunghissima vita sono rientrata a casa con l'affanno, col batticuore, a volte piangendo di paura, di rabbia e impotenza!

Infine, ma non da ultimo per importanza, la bellezza, la bellezza fisica di una donna, per tutto l'arco della vita ha da confrontarsi con la sua inesorabile caducità.
Io sono giunta a una età in cui - sul mio volto, sul mio corpo - si iniziano a percepire i chiari segni di una mutazione, simmetrica e contraria ma non meno drammatica e profonda di quel catastroifico mutamento che ci ha cambiato la vita per sempre: la pubertà. Metamorfosi, entrambe, più sconvolgenti e impressionanti di qualsiasi metamorfosi ovidiana.
La saggezza, che dovrebbe gradualmente arricchire la nostra vita con la luce dell'esperienza e della conoscenza, e quindi sostituire la dote dell'esteriore con l'interiore, in realtà non consiste affatto in una compensazione o una consolazione che ci è concessa con la così detta "maturità" (un obbiettivo mitico di completamento e perfezione, per definizione impossibile da raggiungere da un mortale). Serve in realtà soltanto a renderci coscienti di questa mutazione, e a renderci impraticabile ogni possibile alibi o fuga. Con l'inesorabile obiettività di uno specchio.
L'unico - ma importante - riflesso positivo di tutto questo è il fatto di riuscire finalmente a renderci conto (anche se ormai in irrimediabile ritardo) dell'autentico, immenso valore di ciò che ci è stato donato, assieme alla nostra capacità di comprenderlo e diffonderò.

Vi lascio alla lettura, amiche dilette e amici cari, se lo vorrete, come sempre - con amore.
M.P.





La mia femminile bellezza


Che fine avrà, che fine farà
la mia vita, mi domando ora,
quando infine mi sarò smarrita?

Sarà un lungo male, o un taglio netto,
oppure sarà un volo, oppure un sorso
di veleno, o una improvvida disgrazia?

Sarò ancor giovane, dotata
della mia prodiga bellezza, oppure
sarò una vegliarda, cieca e demente?

Mi trascinerò, semincosciente
per le vie cittadine, immemore
del mio passato, incapace al presente,

oppure toglierò potere al male
battendolo sul tempo, raggelando
d'un colpo solo il mio splendore e il mio

declino? Che vorrà da me il buon Dio?
E il Dio ch'è giusto? E quello di vendetta?
Forse ogni divinità mi ignora

poiché non sono che un nulla di tinta
pinta sulle pareti della chiesa
per immortalare il vestigio di ciò

che fu la mia femminile bellezza:
una vita spesa a essere un fiore,
per poi sfiorire, appena è sera.



Marianna Piani
Milano, 9 Maggio 2017
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