«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 28 maggio 2016

Ultime sere d'estate


Amiche care, amici,

il mio sistema di pubblicazione, di lasciare sempre del tempo tra la prima stesura e la sua proposta in pubblico, mi consente tra le altre cose di ritornare indietro, a emozioni e sensazioni di mesi fa, e in questo caso di ritrovarmi alla fine di una lunga estate, nella quale molte cose avvennero, tra cui l'incontro con il mio amore attuale, in Irlanda. La malinconia che si sente in queste terzine è data dal fatto che nel momento in cui scrivevo ero rientrata in Italia, e, per quante promesse e pianti ci fossimo scambiate alla partenza, avevo la sensazione che non ci saremmo più incontrate.

Poi però la vita ci ha riunite, anche se sempre in modo provvisorio e imprevedibile, tra una sua visita in Italia e una mia "scappata" all'estero. Una situazione così da batticuore da riportarmi ai tempi dell'adolescenza, quando ogni incontro era rubato e clandestino, ogni ritorno era imprevisto, ogni amore era per sempre, ma nello stesso tempo fragile ed effimero come una bolla di sapone. Una sensazione insieme angosciosa ed esaltante. Insomma, è proprio amore: tutte, tutti voi sapete di cosa parlo.

Ma in quello scorcio di fine settembre, in una Milano che si divideva tra giornate limpide, cristalline, ancora estive, e altre uggiose, grevi, depresse, io non sapevo ancora che cosa sarebbe avvenuto di me e di questo mio sentimento, appena sbocciato e subito troncato, e quindi l'autunno che si stava impossessando dell'atmosfera e del paesaggio, si impossessava anche di me, e tutto mi pareva opprimente, inutile, vuoto…

Vi lascio queste riflessioni, amiche dilette e amici, eco di un amore lontano, ma mai così vicino, ora.

M.P.





Ultime sere d'estate




Le lunghe, interminabili sere d'estate
sono finite, quasi d'un tratto,
così: inaspettatamente.

Son terminate, e non è più
quell'agro lucore, persistente,
all'orizzonte, il giorno ostinato

che non vuole morire, non più ora;
le pigre indolenti cortine
alla finestra della cucina,

tu che t'affacci, con sguardo appannato
a guardare il vialone che incrocia
sotto casa, prima di annullarsi

nella piccola piazza. Il deserto,
è quello del tuo cuore, il dolore
è come il pomeriggio, opprimente.

Gatti, accaldati, vellutati
pur sempre nei movimenti,
cercano ombra nei vicoli sconti.

Tu vorresti chiamare, osservi
a lungo l'apparecchio sul comodino,
ma infine desisti, decidi

di inviare un messaggio.
Poche sillabe scrivi: osservi
come sia poetico, intrinsecamente,

questo inviare vane parole che
spontaneamente s'organizzano quasi
in inconsapevoli versi.

Or non è più, questa estate,
il cielo già si colora di viola
allo zenith, e trilla il messaggio

mentre adagio la volta svapora
verso la notte incombente,
quando saprai riconoscere le

costellazioni di quella stagione, 
ed esprimerai il desiderio
di poter essere libera, come

l'allodola che appare, per un istante,
fuggevolmente, alla finestra.
Non sarà più questa, l'estate

del tuo ricordo. Tanto lo sai,
non ci sarà risposta al messaggio,
e un dolore sordo, ferale,

trapasserà il tuo fianco. Attendi
le prime piogge sulle mani diacce,
come un lavacro, con quelle gocce

che paiono pianto detergerai
il tuo viso, poi, seduta al balcone,
aprirai il libro alla luce blu mare

della effimera sera autunnale.



Marianna Piani
Milano, 24 Settembre 2015
.

mercoledì 25 maggio 2016

La bellezza


Amiche care, amici,

in quel giorno un'amica cara, e davvero molto bella, compiva gli anni.
Nell'occasione, pensai di dedicarle un pensiero in versi.
Qualcosa che raccontasse il fiorire della sua bellezza, che con il giungere degli anni si arricchisce di una luce sempre più intensa e viva, quella che le scaturisce dall'interno, la luce viva della sua intelligenza. L'intelligenza, una mente viva e sensibile, per una donna è come un faro nella vetrina di un gioielliere, investe la sua bellezza e la fa riverberare come un gioiello di mille iridescenze.

Condivido con voi, amiche dilette e amici, questi versetti d'occasione, ma ispirati dall'amore.

M.P.





La bellezza


La bellezza pura
non compie gli anni
li conquista.
Il tempo non è un fiume
che la travolge,
la sua giovinezza
non è un fuscello
che, strappato,
precipita a valle a perdifiato.
La corrente, lei la sconfigge,
risalendo lungo l'alveo spumeggiante
a balzi a salti a morsi
a gridi anche.
L'energia che la spinge
scaturisce dal motore
arroventato dell'amore.

La bellezza non è un dono,
è una grazia.
L'intelletto l'irrora
come un fiore raro
la pioggia in un prato.
La bellezza ne rifulge
come un astro illuminato
da una mente fertile e sensuale:
è come una rosa pura
al sole in mezzo alla radura.




Per S.S.
nel giorno del suo compleanno
Marianna Piani
Milano, 22 Settembre 2015
.

sabato 21 maggio 2016

Ironico supremo


Amiche care, amici,

questa piccola composizione in origine era compresa in una lettera che inviai a una cara amica, in un momento difficile, una riflessione su Sorella Morte, e su quanto, in fondo, essa sia stupida, sebbene potente, e sulla potenza finale dell'ironia, come arma divina di salvezza. Ironia che è una delle più rilevanti sigle dell'intelligenza di questa amica.


Sulla morte ragionavamo di come pare che la sua stupidità sia direttamente proporzionale alla manifestazione della sua potenza. Ne abbiamo mille prove, di continuo, eppure la temiamo, per istinto atavico, più di ogni altra cosa. Questa sua onnipotenza, che si confonde con la sua ineluttabilità, alla fine, ci atterrisce, e abbiamo la sensazione che sia sempre e soltanto lei a vincere la posta finale della vita.
Eppure, se ci pensiamo bene, non è così, la morte è strumento della vita, di cui rappresenta l'ombra inseparabile, e attraverso la morte è sempre la vita a vincere, con gran disappunto di tiranni, criminali, sostenitori della pena capitale, terroristi, e di tutti coloro che pensano di mettere la morte al proprio servizio, illudendosi forse così, più stupidi ancora di lei, di sfuggire al suo abbraccio.
Questa è l'ironia, da parte di un Dio, o da chi per lui, che ha generato e legato così strettamente morte e vita da renderle alla fine il dritto e il verso dello stesso conio. E alla fine l'ultimo e insolvibile mistero per l'essere che si illude di tutto sapere, l'uomo.

Ringrazio questa mia carissima amica per l'ispirazione e per permettermi di condividere ora con voi, amiche dilette e amici, queste riflessioni, queste parole pensate e dette, come sempre, con amore. Amore per la vita.


M.P.




 

Ironico Supremo


...Cara, la Morte,
come gli stupidi e i fanatici
detesta l'ironia, il sarcasmo
nemmeno lo comprende, arma bianca
della liberata mente.

Ho visto gente sbeffeggiarla serenamente
da un letto d'ospedale,
l'intelligenza si ribella con un sorriso
all'inanità del dolore, s'aggrappa
alla vaga frivolezza della Vita.

È stupida, Sorella Morte,
per quante volte si lascia raggirare;
che poi vinca sempre, alla fine,
non vuol dir niente, è stupida ugualmente;
se anche vince - è una stupida vincente.

Quando accade d'incrociargli il passo
allora è tardi per recriminare.
Raccomandarsi a Dio non serve,
Dio ha altre cure per la mente,
per lui siamo del tutto un niente.

Di fatto, Dio la ama, l'ironia, come
e più di quanto l'ami il Fato, tanto
da farne un'intera teologia.

. . .

Né gioco a dadi né Fato né Testamenti:
Dio è l'Ironico Supremo.




per R.M. con affetto
Marianna Piani
Milano, 20 Settembre 2015
.

mercoledì 18 maggio 2016

Mansarda


Amiche care, amici

semplicemente una breve composizione d'immagini e di memoria: la mansarda di cui parlo, dalle parti di Linate, è dove abitai per qualche tempo, assieme a un'amica, i primi anni in cui mi stabilii a Milano, in cerca di lavoro e di una direzione stabile alla mia vita, già a quei tempi piuttosto disastrata…
Il lavoro venne, precario e non sempre appagante; direzione e stabilità, quelle non vennero mai, e la felicità - illusione dei giovani anni - si consumò via via nel quotidiano. Producendo polvere di memoria.


La affido alla vostra lettura, come sempre, con amore

M.P.




Mansarda


Trucioli di storia si compongono
sulla lastra della mansarda
che traspare sull'infinito sopra Linate.

Polveri stanche, guano di piccioni
si depositano a strati eguali, lentamente,

memoria che sedimenta nella mente.

A volte, sono i fiocchi d'una neve
lurida e diaccia a rammentare l'inverno
e la presenza d'una città che piano piano
 

dissolve in bianco; a volte, su quel vetro
incorniciato da una crociera
di legno dolce, frusto, scarnificato

dal greve trascorrere del tempo,
è la pioggia a bussare lieve, oppure
furiosa, appannando, diluendo il cielo.

A volte la luce, il raggio d'un sole estivo
s'impiglia come un'ala iridescente
tra i fili d'una ragnatela disertata.

Intanto, nell'azzurro intenso, denso,
direi vetrificato, incrociano i tagli
scintillanti tracciati dagli aviogetti.

L'incanto è allora il libero mutare,
la metamorfosi nel suo farsi,
il visionario che aspira

al soffio della vita. Quella lastra
in blu è la via di fuga, squarcio aperto
nelle mie recluse mura.


.   .   .

Ma ora, ancora, da quel buco aperto
sull'universo, scorgo solo nebbia
indistinta, raffigurante nulla.




Marianna Piani
Milano, 10 Settembre 2015
.

sabato 14 maggio 2016

Esilio dopo il naufragio


Amiche care, amici

qualche giorno fa pubblicai su queste pagine una composizione che rappresentava quali "appunti di viaggio" le mie sensazioni subito dopo l'ultimo (finora) dei miei ricoveri in casa di cura per aggiustare questo mio meccanismo mentale squinternato.
Oggi propongo, in certo modo, il seguito di quella riflessione.


Qui il "viaggio" è diventato un "esilio", ma soprattutto qui cerco di uscire dal limitato confine di me stessa, dove il male mi imprigiona, e cerco di guardare attorno a me. E mi rendo conto di essere fortunata, la mia sofferenza è assai contenuta, in fondo controllabile, e la detenzione è per ora limitata a tempi brevi, giusto i giorni necessari per ricalibrare i farmaci che mi tengono "in bolla", e poi i cancelli dell'esilio si riaprono al mondo, e io ritorno libera e sollevata.
Ma in quei giorni, tutto attorno a me vedo ben altre sofferenze, ben altre storie, ben altre disperazioni. E mi chiedo se è questa sofferenza che mi circonda ciò che mi sconvolge e coinvolge, oppure è solo della mia che m'importa veramente, e sono talmente concentrata su me stessa da non provare nulla, al di fuori di me.


La malattia è terribilmente ingenerosa, egocentrica, avara, prima viene la salvezza di sé stessi, inevitabilmente. Per questo non vi è pietà in corsia, e per questo ognuno, in quei luoghi di pena, è da solo con sé stesso. Non vi è luogo in cui si sia più soli che in una camerata d'ospedale, dove ogni ricoverato si crea un mondo a sé, isolato, riservato e impermeabile a ogni parvenza di socialità, di comunicazione. E quand'anche c'è, è in sé del tutto effimera, di superficie. Come in un naufragio, quando il mare sommerge la tolda, ogni uomo è affidato a sé stesso, alla propria capacità di reazione e alla propria forza d'animo. Ci si ritroverà - forse - molto dopo, stremati sulla spiaggia, se mai si è abbastanza fortunati da raggiungerla… E poi ci si sforza di dimenticare tutto, facce, nomi, pensieri, il più in fretta possibile.

Una divisione strofica inusuale, sghemba, un po' faticosa, non più sestina, e non ancora ottava, che rappresenta bene credo, nel subconscio della scrittura, il mio disagio.

Vi lascio, amiche dilette e amici, se vorrete, alla lettura di questi appunti. Con amore.

M.P.






Esilio dopo il naufragio


La nave è piombata
ancora lontano dal sicuro porto
contro la scogliera, spinta
dalla tempesta, il fasciame
con fracasso immane
è esploso, come un cesto
sotto gli zoccoli d'un puledro.

Io, sbalzata giù dal ponte,
rimango - annebbiata, ferita -
sulla roccia viva, a vedere
il mio battello che s'inabissa
tra le onde come impazzite
nell'accogliere quell'umano sforzo,
e piango di dolore e cieca rabbia.

È questo, tra me dico, è questo
l'esilio che mi spetta ora, la disfatta
dopo tanto alto mare, dopo tanta
dedizione, dopo aver sfiorato
l'illusione di un mondo nuovo,
e la speranza d'una fede intatta?
E mi siedo allora costernata

sull'orlo dello scoglio
a guardare queste onde sopraffare
gli anfratti tra le rocce nere
popolate di diafani granchi
e di piccoli tenaci lamellibranchi,
cartilagini in balìa della corrente
come me del mio destino.

Le onde giungono, una a una,
risalgono lo scoglio con un gorgoglio
inquieto, fino a lambire le dita
gracili dei miei piedi nudi e bianchi,
e poi rigorgogliano verso il fondo
trascinandovi le fragili creature
e i sedimenti del mio leso orgoglio.

Mi travolge la sofferenza
che sento torcersi a me attorno, oppure
è la mia soltanto che mi commuove?
Queste pietre sature di lamenti
e di veglie dolorose senza conforto
testimoniano d'altri naufragi,
d'altre solitudini fattesi mortali.

Saprò da ciò che giace in pezzi
della chiglia sulla scogliera
ricostruire un rudimento di salvezza?
Avrò la forza, la volontà, l'intento,
per affrontare il mio ritorno, oppure
mi lascerò sedurre per l'eterno
da questo lacerante dolce esilio

scavalcando il tempo e il mondo?



Marianna Piani
Milano, 8 Settembre 2015
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mercoledì 11 maggio 2016

Saluto di una mente errante


Amiche care, amici,

diversi mesi fa ormai ebbi il mio ultimo ricovero a seguito di una recrudescenza ciclica della mia malattia, con cui convivo da anni. Ho fatto due conti, e mi rendo conto che si tratta di uno dei periodi più lunghi trascorsi "in libertà", senza ricovero, dopo il primo (drammatico) emergere della malattia. Non mi illudo, ma forse i medici hanno finalmente trovato il cocktail farmacologico più giusto per me, e quindi la mia mente ha trovato una sorta di equilibrio, una tregua po' più stabile del passato.

Queste brevi "note di viaggio" le ho stilate subito dopo la mia "liberazione", finalmente di nuovo a casa, ancora esausta dal trattamento d'urto cui mi sottopongono di routine per riportarmi a un equilibrio accettabile. Ci metto qualche settimana poi per recuperare un ritmo di vita "normale".
Le ho stilate dunque all'uscita dal tunnel, ma si riferiscono ai pensieri, inesprimibili fino a quel momento in qualsiasi forma, tanto meno poetica, avuti, come si evince, all'inizio.
In quasi tutte le occasioni precedenti, all'inizio del "viaggio" l'angoscia è talmente grande e incontrollata che non sono in grado di comprendere come e quando potrei mai uscire. Questa ultima volta ero un poco meno sconvolta, non mi sentivo perduta per sempre, e terribilmente sola. Ma la sensazione di entrare in un tunnel buio, pieno d'incognite, era comunque viva.

Condivido tutto questo con voi, amiche dilette e amici, con amore, come sempre.

M.P.





Saluto di una mente errante


Non sarà un addio, questo viaggio,
uguale a tant'altri prima, forse
incognito di più, più vago.

Gli spettri mi tormenteranno ancora?
Riuscirò a udire ancora il suono
della mia voce, in quel frastuono?

Io sono capace, in guisa d'aquila
di risalire fino all'apice del mio volo,
e vedere il mondo dal culmine d'un sogno;

così come son capace di sprofondare
in un abisso fondo, che appare
il mio più certo e finale approdo.

Mi salveranno gli Angeli ora, ancora?
Angeli in veste verde o bianca, sarete
al mio capezzale, come da sempre

accade? Conoscete ancora il sortilegio
che fa di me da Erinni cieca e urlante,
una sirenetta dal bel dolce canto?

Non sarà un addio, questo viaggio,
amici, non sarà un congedo.
Non sarà neppure qualcosa da narrare...



Marianna Piani
Milano, 7 Settembre 2015

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sabato 7 maggio 2016

Inutilità della poesia


Amiche care, amici,

vi sono composizioni di cui già il titolo esprime tutto il senso, e questa che presento oggi è tra queste. Anche se in sé può ingannare, l'affermazione è paradossale, ma contiene in sé la via d'uscita.
Non sento neppure la necessità di dire molto di più a sua introduzione, anzi è tra quelle composizioni che amo lasciare alla libera lettura di chi avesse la voglia o l'opportunità di farlo. Vi darò soltanto una traccia: sono almeno tre i sdmmi poeti il cui destino qui è più o meno esplicitamente citato. Sono certa che li riconoscerete.

Sestina libera, dedicata ai poeti (quelli veri) serenamente folli e disperati...

La condivido con voi, amiche dilette e amici, con amore.

M.P.



Inutilità della poesia


 

"Caparbiamente, quasi solennemente
affermo l'inutilità
della poesia"  scrisse quel poeta,
e poi morì sotto le ruote
di un'alfetta maledetta,
per un insano coerente destino.

M'hanno sempre affranta quelle parole
dette o scritte che ero da poco in vita.
Certo, inutile è la Poesia
che non salva dall'abiezione,
dalla perdizione, nemmeno
chi vi si affida a cuore pieno.

Certo, è inutile la poesia
che non risparmia alcun delirio,
non devia la mira del plotone
d'esecuzione, non leva un grammo
alla disperazione che grava l'anima
di chi naufraga in sé stesso.

Inutile, Il canto e la parola,
qualsiasi canto, qualunque parola,
a liberare chi langue prigioniero
in una cella oscura, a lenire
il dolore di un abbandono,
a salvare dalla follia.

 

* * *

 

La cavità del forno,
le camere a gas,

tetre bocche aperte mute,
non inducono speranza,
non concedono illusione:
nulla può la Parola,

e meno può la Poesia;
se non celebrare la propria
impotenza, se non aspirare
a una Verità, se non gridare
la propria inalienabile
sfolgorante Libertà.



Marianna Piani
26 Agosto 2015
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mercoledì 4 maggio 2016

Metà Estate


Amiche care, amici,

ritorno al mio "genere" preferito, il ritratto di paesaggio, e con la mia tecnica favorita, l'acquarello, perché è quella che meglio riesce a rendere la luce e la leggerezza dei toni alti, tipici di una giornata estiva, il tempo in cui abbozzai questi versi.

Naturalmente intendo "acquerello in scrittura", ma vi assicuro che le due "tecniche", in apparenza lontanissime, sono invece assai simili, per timbro, trasparenza di colore, e risultato.

E alla stesura delle tinte aggiungo qualche riflessione, in tema d'ispirazione.
Vale a dire quella luce che per un istante ci fa tutto vedere, come un lampo improvviso, e poi, per un lungo tempo, ci acceca.
E questo repentino ripetuto passaggio da luce a tenebra è anche l'immagine del mio disagio mentale.

Amiche dilette, amici, affido queste stanze alla vostra indulgente lettura. Come sempre con amore

M.P.




 

Metà Estate


Tale è il nitore dell'aria, pura
la lucentezza delle piccole onde
nelle cale sopra il lago, dove
piccole barche si tengono per mano,
tale è la luce che inonda i muri,
le case, i giardini fin troppo fioriti,
i minuscoli seni che abbracciano,
come in materna protezione, piccoli
stabilimenti balneari, tra i canneti
e le ghiaie candeggiate della riva.

"Tanta luce," mi si diceva celiando

quand'ero piccina, "che non ci si vede."
E io sgranavo le nere pupille
più nere ancora e più grandi e stupite
di quanto giammai non fossero state,
e mi chiedevo come mai accadesse
che il troppo chiaro, l'eccesso
di luce potesse accecare qualcuno,
anziché render palese il mondo,
svelare un Dio, accenderne il volto.

Infine, a ciò non davo fede,
e non l'avrei in vita mai data:
io ero e sono, e sempre sarò
tra quei dissennati, folli, storditi,
che fissano dritti negli occhi il Sole
e per un solo intollerabile istante
catturano in sé tutta la luce
dell'universo, e l'istante dopo
perdono la vista e sprofondano

in un perenne torbido buio.



Marianna Piani
Nebbiuno, 15 Agosto 2015
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