«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 13 dicembre 2015

Torre


Amiche care, amici,

a poche centinaia di metri da casa mia, a Milano, hanno da poco finito di edificare una alta torre in stile nuovayorchese, un poco simile al vecchio "Pirellone", un parallelepipedo schiacciato, ma molto più imponente. Lo vedo dalle finestre di casa, e ho seguito la sua crescita graduale, piuttosto rapida, e ora domina la skyline che  vedo dai miei balconi, prima piuttosto libera (e anche un poco deprimente) dopo la demolizione dei vecchi edifici della Fiera.
Non me ne lamento più di tanto, non sono così vicina da sentirmi oppressa da quell'edificio, e capisco bene che le città, come ogni faccenda umana, crescono, si evolvono, o decadono. Il cambiamento è inevitabile, e in ogni caso sempre necessario. Il cambiamento, in positivo o negativo, è vitale, il non-cambiamento, la stasi, il coma, quello è mortale.

La domanda che mi faccio, quando mi affaccio alla finestra, è piuttosto se questo sia un segno di progresso, di evoluzione, oppure viceversa di decadenza, di finale della nostra civiltà, una sorta di monolito dell'Isola di Pasqua trasferito nel paesaggio milanese di inizio millennio. Un segno, un simbolo, piccolo, minimale, ma pur sempre una dichiarazione espressa e definitiva in un senso o nell'altro. È questo, credo, il linguaggio dell'architettura, la grande, la piccola, la monumentale, la quotidiana. Quello con cui una civiltà si esprime nel corso della sua storia, via via di sorgenza, di crescita, di evoluzione, di decadenza e di fine.

Come potrete intuire dalla composizione che vi propongo oggi, io propendo per quest'ultima ipotesi. Vedere certe costruzioni in un certo senso faraoniche, in questi tempi in cui una architettura sana dovrebbe occuparsi principalmente di una migliore utilizzazione del territorio, della non invasione di ulteriori spazi in orizzontale come in verticale, della buona gestione/utilizzazione delle risorse residue, della edificazione di spazi umani a "misura d'uomo", di incrocio culturale, di convivenza non infernale ma pacifica, di apertura all'esterno anziché chiusura - anche simbolica - dentro gigantesche scatole di cereali come queste, mi comunica un senso di angosciosa insensibilità al mondo che si dibatte sotto di loro, di inutile dichiarazione di maestosità e di separazione per celare una profonda, ormai definitiva impotenza.
Opinione personale, ovviamente: sicuramente c'è chi sarà ben felice di occupare quei prestigiosi appartamenti, di parcheggiare la sua SUV scura negli ampi garage, di godersi l'esclusività dei suoi giardinetti transennati, di affacciarsi e vedere in distanza, nelle (poche) giornata limpide, lo spettacolo "esclusivo" delle alpi che presto biancheggeranno di neve. Pensando alla prossima "settimana bianca" lontana, serena e ricca di raggi UV sulla pelle.
Tanto, là di sotto, il mondo continua il suo affanno, e l'iceberg, immenso, se ne rimane per ora lì, ancora celato nella nebbia padana.

Condivido con voi, amiche dilette e amici, come sempre, con amore.

M.P.




Torre


Preferirei stare
in cima a quella estrema guglia
a duecento metri sopra l'asfalto
nero appena steso del piazzale

e osservare attorno
la poca vita ancor rimasta
sotto i miei piedi. Appena giorno
un fremito di vento mi farà oscillare

come un acrobata
nel cielo terso e arso
sulla città sconfitta, ridotta
al silenzio da una notte che si protrae.

Cittadini e vetture
paiono immobili là sotto, non credo
sappiano quanto sia tracotante ibrido
e blasfemo quest'inumano tentativo

d'innalzarsi a Dio.
Un immenso paravento eretto
come un intollerabile protervo insulto
al riserbo di chi prova ancora a sperare.

Un fallo quadrangolare
che si staglia inverecondo contro
un'orizzonte confusa nel fosco particolato.
Tempio di una Fede in nulla che non sia preda.

Quanti uomini, e donne
morirono per quest'idolo impietrito,
e quanti ancora morranno, ignari e ignoti
sui candidi gelidi gradini della Cattedrale?

Io lassù, aggrappata
che paio una stramba bandiera bianca
lacerata, con la mia gonna che coglie il vento,
sorprendendo, non soccomberò, ma griderò

la mia completa libertà
al di là delle murate di vetro
e di cemento, al di là di queste finestre
perforate dal cielo, al di là

del mio stesso lamento.



Marianna Piani
Milano, 26 Maggio 2015


2 commenti:

  1. Utilizzare una gigantesca “scatola di cereali” come mezzo, anziché come fine :

    Salire in cima, quasi fosse una scala appoggiata contro un albero dal tronco altissimo e dall’invisibile chioma…

    (…)

    IMPORRE agli occhi del mondo sottostante - troppo spesso frettoloso, megalomane e, conseguentemente, incurante - la propria “singolarità”, la propria diversità, il proprio BISOGNO di “giustificata solitudine”.

    Avere la sensazione / certezza, guardando in basso, di essere - in quanto umani - irrimediabilmente minuscoli di fronte alla grandezza della vita in sé, ma allo stesso tempo, in quel preciso istante, dei giganti accolti a braccia aperte dall’immensità del cielo…

    (…)

    Imbattersi, chissà, in un volatile il quale, con grazia, dopo un lungo viaggio decide di appoggiarsi sulla nostra spalla, per poi riprendere il suo cammino… in totale libertà.
    Al di là di tutto...

    ***

    “Tempio di una Fede in nulla che non sia preda”.

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    1. «...la propria “singolarità”, la propria diversità, il proprio BISOGNO di “giustificata solitudine”...»

      La tua qualità più straordinaria, Luca, è quella (credimi, rara) di pensare "con la tua testa".
      Non ti sei lasciato fuorviare dalla mia introduzione - volutamente e un po' maliziosamente sghemba - e hai centrato in pieno il cuore pulsante della composizione, che non era certo la "brutta architettura" (quello era se mai il tema della introduzione) ma esattamente quello che riporto sopra, dalle tue parole:
      la singolarità, la diversità, la solitudine. E tu aggiungi con un colpo d'ala critico raro, acutissimamente, il giungere di quel "volatile" che - io lo so - altri non è che il "Passero Solitario" cui questa composizione è idealmente segretamente (ma non a occhi acuti come i tuoi, com'è giusto che sia) se pur lontanamente ispirata.

      Grazie caro Luca.

      Ti abbraccio, più che mai

      Marianna

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