«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 5 agosto 2015

Fossili e sedimenti


Amiche care, amici,

Il tempo che ho a disposizione è pochissimo, il lavoro mi chiama a gran voce, ma non voglio proprio rinunciare a questo appuntamento con voi, per me prezioso e insostituibile.

Non mi dilungherò troppo nella presentazione, anche perché oggi si tratta di una delle mie composizioni un poco più "corpose", in forma più narrativa che lirica.

In realtà scrissi questo testo praticamente di getto, in pochi minuti, sulla spinta emotiva di uno di quei momenti di squilibrio e sconforto, purtroppo per me non infrequenti. Poi c'è voluto ovviamente un franco e attento lavoro per ridurne le asprezze, le disarmonie, le ingenuità, ma nell'insieme è rimasta tesa e densa com'era nata.

Racconto qui delle "mie" montagne, che da qalche tempo non posso più frequentare per motivi di lavoro, di costo e di saliute, e racconto della attività di arrampicata su roccia che non posso più praticare al livello di un tempo, perché gli impegni e la vita e la salute appunto mi lasciano troppo poco tempo e modo per seguire un minimo di allenamento, e senza allenamento specifico e continuo il salire a un certo livello, quello cui ero abituata, potrebbe essere, anzi è, un rischio mortale. La montagna non perdona che le manca di rispetto.


Ma mi manca, la montagna, mi manca come una amante abbandonata, mi manca non la salita, che è soltanto un esercizio fisico, un fare i conti con i propri limiti umani, mi mancano piuttosto i luoghi, le atmosfere, i paesaggi, le aperture d'orizzonte geografiche e mentali, affettive e spirituali. Nulla poi di più appagante dell'effettuare una salita in compagnia della persona amata, e anche questo mi manca, mi manca follemente. Non ho mai praticato alpinismo per motivi sportivi, ma solo ed esclusivamente spirituali. La montagna così per me è una immensa metafora umana, la metafora della tensione ad elevarsi. A trascendere la propria limitatezza.
Chi tra voi amiche carissime e amici conosce e frequenta in qualche modo la montagna penso mi capirà. Agli altri spero di comunicare questa tensione, questa bellezza in gran parte indicibile, inafferrabile, al di là dell'esperienza.


Per voi amiche dilette e amici, come sempre, con amore.


M.P.





Fossili e sedimenti


Quelle accidiose montagne in attesa
sull'orizzonte sfocato, di fronte
a un sole che nasce da un lontano
paese di mare, in attesa della brezza
fremente dell'alba, come una carezza
sul ventre dolce della mia amata,
profumato di muschi spugnosi
e di felci irrorate dalla rugiada.
Quel paesaggio infitto nel maggio
della memoria, goduto a settembre
tra sfolgorii di verdi alture, e pasturi,
e malghe riposte tra le valli più alte,
e il chiacchiericcio dei torrenti
tra gli sfasciumi di sassi là in fondo
alle gole chiuse tra pareti di quarzo
e granito. Quel paesaggio
sofferto a novembre, prima
che il primo fiocco esitante a morire,

sia pure in quell'aria incorrotta,
si posi sulla tua mano in un dolce
disciogliersi e spirare, come me,
al tuo calore. Paesaggio rimpianto infine
a dicembre, il mese del crepitare
dei ceppi nei focolari, allora, ma ora
soltanto l'attesa di una fine,
la fine d'un peso, sempre più greve
da sostenere per chi come me
s'è perso, e ha visto rovinare il pilastro
del proprio amore, cosī tenero e saldo.

Quelle montagne, mi sono lontane
oramai, come un miraggio, eppure
pare ieri che mi avventuravo tra quelle rocce,
che risalivo in verticale quei muri glabri,
ficcando le dita nelle loro piaghe
per farne appigli al mio ardimento
e alla mia sete inesausta d'ascesa,
di coerenza, di trascendenza.
Mi illudevo, avvicinandomi al cielo,
respirando quell'aria sempre più ghiaccia
e rarefatta, di avvicinarmi a un dio,
se c'era, oppure all'essenza stessa
della bellezza. E mi pareva
che ciò fosse vero, nel vedere
sotto i miei piedi sospesi in un vuoto
di mille più metri, i ghiaioni rosati dal vicino
tramonto digradare come dolci rivi
tra gli anfratti, e gettarsi nella brughiera,
e poco sotto nell'ombra godere l'abbraccio
del bosco di abeti, e più giù ancora
le strade regnare incontrastate
avvolte ai declivi come serpi;
e solo allora vedere i primi vestigi d'umano,
un fienile, una casa, un piccolo muro,
il quadrato d'un campo falciato con cura:
tutto ciò era pura bellezza,
e il mio essere sola
aggrappata a quel modo alla vita
anche questo 
lo era.
Così allora pensavo. Ma...

Tutto era così immenso, smisurato,
e io minuscola donna ero così nulla,
aderente come un insignificante graffito
a quella parete, un nulla a sua volta
a paragone di quella distesa infinita di roccia,
di ghiaccio, di praterie, di scure foreste,
di cieli solcati di nubi sfrangiate.
E capivo quant'era inerme, la mia tracotanza,
com'era un nulla di nulla quel migliaio di metri
di ostinata salita, col cuore ch'esplode
nel petto e le labbra tagliate dal gelo,
 
come tutto quell'arduo cimento,
e rischio, e fatica, e dolore,
tutto questo non mi avvicinasse d'un unghia
alla volta del cielo, o ad alcun dio,
né mi elevasse più di un'inezia
alla bellezza cui anelavo.
Come era vano ogni mio sforzo,
questo mettere la mia vita
come posta in un gioco
che non avrei mai vinto.

Allora l'unico gesto sensato,
l'unico che di fronte a quel cielo
avrebbe potuto ridare dignità 
al mio essere soltanto umana,
l'unico atto libero e certo
sarebbe stato lasciare la presa,
abbandonare gli appigli, e volare
per quei mille e più metri, avere
per pochi secondi d'eterno
il sapore del cielo, nella bocca
nelle orecchie nei capelli nei polmoni
traboccanti di vento e alla fine di tutto
andare a far parte di quelle rocce
come un fossile d'osso
frantumato, sul fondo, quel fondo
che un tempo fu un abisso marino.



Maranna Piani
Nebbiuno, 14 Febbraio 2015


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