«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 28 settembre 2014

Il Tempo e lo Specchio III



Amiche dilette, amici,
ecco per voi il terzo passaggio della mia breve raccolta dedicata al personaggio di Alice.

Come vedete, l'avventura immaginaria di Alice Liddell è il seme che, cadendo sul terreno della mia immaginazione, vi germoglia, dando vita ad una catena di visioni, di pensieri, di memorie, di agnizioni.
No, non stavo bene quei giorni in cui scrivevo questa mia ode, venata di tristezza, ma amnche piena di passione, mi sentivo realmente sopraffatta dalla solitudine e dal peso delle troppe perdite della mia vita, ma sentivo di potervi reagire, se fossi salpata per il mondo immenso che attendeva di incontrare il mio sguardo.
Scrivere in questi casi, per me è l'unico possibile antidoto per non impazzire.

Anche questa, come le altre, dedicata a voi, con tutto l'amore del mondo.
Con tutto l'amore che io vi posso dare.

M.P.







Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice

...“I wish I hadn't cried so much!” said Alice, as she swam about, trying to find her way out.
I shall be punished for it now, I suppose, by being drowned in my own tears !”






III

Alice in un mare di pianto


Che dici al navigante, oscillando
sulla cresta candida delle onde
spazzate dal libeccio, frustate
dalla pioggia dei monsoni,
spietati signori di questi luoghi?
Non dici forse di proseguire
a dispetto delle tempeste, dei fortunali,
delle infide secche, e dei sargassi
che impastoiano i timoni?

Quante sono le persone amate,
quanti i pezzi della tua anima,
quanti i brani della tua carne
che hai veduto sfracellarsi su quegli scogli,
incagliarsi ai bassifondi, perdersi
alla deriva nella notte oscura?
Ogni conchiglia che raccogli
sulla ghiaia dell'arenile,
ogni valva che s'asciuga al sole
è un tuo amato bene che t'ha lasciato,
o che hai perduto, o che s'è eclissato.

Meglio perdersi in mezzo al mare
lontana dalle coste, dai porti, dalle cale,
ovunque si celi il nostro insondabile avvenire.
Meglio affrontare onde immense,
e abissi ignoti, e i leviatani, e i fortunali
che sfiancano le murate e divellono le drizze,
meglio vedere la prora che s'inabissa
e risale verticale, implorando al cielo
pietà e perdono, di là dal male,
di là dall'abbandono. Meglio rischiare
di naufragare là dove non v'è salvezza,
meglio gli scogli mortali per noi stessi
che le inaccettabili morti che ci fanno assedio
e gli spettri dei nostri dissolti amori.

Empiamo le rotte dei nostri dolori
poiché sappiamo che mai ci abbandoneranno.
Fuggiamo altre afflizioni, altre disperazioni,
poiché di nuove non potremmo sopportarne.
Ci annulliamo alla barra della nostra chiglia
illudendoci di tenere una rotta qual essa sia.
Ci allontaniamo miglia su miglia
con gli occhi schiusi nel vento di prora
che brucia le ciglia di salso e di pianto.
Il pianto è nulla, un riflesso involontario
che ci annebbia. Il vento che ci investe
viene da un passato già lontano.
O che appena sfioriamo.

Ma quel vento gonfia le vele, e ci spinge
alla sorte... Qui, al largo di Gibilterra,
oltre le bocche di Magellano, oltre
le leggendarie terre Aleutine...
E qui ieri è già domani.

Meglio è piangere, che dimenticare!



Marianna Piani
Milano, 14 Aprile 2014

mercoledì 24 settembre 2014

Il Tempo e lo Specchio II


Amiche care e amici,

Secondo capitolo di questo mio itinerario - personalissimo - attorno alla figura di Alice, un personaggio che per me ha rivestito anche il ruolo del mito.

Ho deciso di non diffondermi troppo in introduzioni o approfondimenti su queste composizioni, quello se mai, se me lo richiederete, lo farò rispondendo ai vostri messaggi, se ce ne saranno.
Preferirei lasciare tutto lo spazio ai versi, lasciare che vi raggiungano liberi e senza mediazioni, e che si offrano direttamente alla vostra lettura e alle vostre interpretazioni.

Il bello in Arte, qualunque Arte, è che l'Artista - e dico qualunque Artista, non importa se grande o piccolo - non può in alcun modo prevedere cosa veramente arriverà all'anima delle persone cui la sua opera è rivolta. Sono gli spettatori, i lettori, gli ascoltatori che danno l'ultimo vero senso a un'opera, in un certo senso ne sono gli autori, assieme alla persona che vi pone la firma. E il bello è che, se l'opera è riuscita, non vi è mai un unico significato o un'unica lettura possibile, ma almeno tante quante sono i singoli lettori che l'avvicinano.

Dunque perché tentare, nevroticamente come faccio io, di pilotare in qualsiasi modo questa "lettura", che anzi dovrebbe essere lasciata all'individuo, al lettore, come un suo diritto inalienabile?

Qui vi dirò solo che nella mia intenzione "architettonica" vi è un tenue filo che tiene insieme queste nove composizioni, tra loro peraltro diversissime; e non parlo ovviamente solo del nome di Alice e delle reminiscenze del suo mondo immaginario.
Quale sia, penso stia a voi scoprirlo.

E secondo capitolo sia, dunque.
Per voi, come sempre, con amore…

M.P.









Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice

...“It's no use going back to yesterday, because I was a different person then.”




II
Alice nel Giardino delle Rose



La notte dà, la notte prende.
Giochi di bimbe nel prato assolato.

Ve ne sono di vestite di rosso, come le rose,
oppure di giallo, come piccoli soli
che lampeggiano tra le gramigne
all'alba, oppure anche al tramonto.

E ce ne sono di rosa, graziose
come nastrini che adornano i sogni,
e quelle azzurrine, frullano sciamando
come farfalle, confondendosi al cielo.

Oh, cielo! Ce ne sono poi anche di bianche,
tanto bianche da parere la neve, non fosse
per il profumo d'infanzia e non il candore
bensì la purezza che si portano addosso.

Soltanto tu, tra tutte, sei in nero-violetto,
poiché è il solo colore che t'appartiene,
poiché è il colore che di tutta la luce s'imbeve
e tutta la luce in sé trattiene.

. . .

Il prato presto diviene una selva,
e oltre la selva scorgete le aiuole
dove s'adunano le orchidee orgogliose,
e altere viole, e le eleganti camelie.

Soltanto tu, tra tutte, comprendi
la loro tristezza, la loro mestizia
che non consola: il lato oscuro della bellezza,
l'altra faccia della certezza.

Nell'incoscienza è l'invidiabile gioia.
La notte prende, la notte ritorna.



Marianna Piani
Milano, 6 Aprile 2014




sabato 20 settembre 2014

Il Tempo e lo Specchio I


Amiche care, amici,

inizio oggi un breve ciclo, che ho intitolato "Il Tempo e lo Specchio".

Si tratta di nove composizioni, che ho definito con termine musicale "Nove variazioni sul tema" dedicate alla figura di Alice; intendo dire, come avrete certo capito, la Alice di Lewis Carroll.

Il tema di Alice è un tema ricorrente pressoché da sempre nella mia immaginazione e nel mio pensiero, e ha radici profonde e remote, che iniziano con la lettura, io bimba ancora in età pre-scolare, delle avventure di Alice da parte di mio padre, per farmi assopire alla sera, proprio come nelle più classiche tradizioni familiari. E continuano poi con l'incontro quasi diretto con questo personaggio nel celebre film Disney. Non si tratta di un avvenimento da trascurare nella mia storia personale, l'assistere ancora bambina a questo magico film fu una visione che mi ha affascinato e segnato negli anni a venire, e che non è l'ultimo dei motivi per cui io in seguito sarei divenuta una cartoonist e - per un periodo - anche animatrice di professione. Quella fantasia e quella magia, quei meravigliosi nonsense resi "reali" e "surreali" dalle matite di quegli artisti straordinari che erano gli animatori Disney dell'epoca, mi stregarono e rimasero per sempre impressi nella mia mente.


Il personaggio di Alice, con la sua provocatoria e anticonformista ribellione alla logica e al buonsenso, è stato veramente parte integrante della mia crescita, il mio personalissimo Bildungsroman infantile e prepuberale, e in un certo senso mi ci riconosco ancora come di fronte a uno specchio, anche se si tratta di uno specchio magico e deformante.
Prova della fascinazione che questa bambina immaginaria (ma non troppo) ebbe sulla mia vita sia il fatto che se mai avessi avuto la fortuna di avere una figlia, l'avrei senz'altro chiamata Alice.
E infine c'é il tema della follia (vedi la celebre citazione più sotto), intessuto a tutto questo, un tema che ora mi tocca così da vicino: la follia e il modo di conviverci, di cavalcarla e domarla, come si doma e cavalca una cavalla selvaggia, e si riesce a piegarla alla nostra direzione, consentendoci di percorrere con lei - grazie a lei - lunghi e inattesi percorsi.

Tutto questo ha generato l'ispirazione per questo breve ciclo in versi, che mi ha preso diverse settimane di lavoro, nove liriche di diversa metrica e dimensione, legate tra loro praticamene soltanto dal "tema" comune. Ci pensavo da tempo, e forse ora mi sono sentita sufficientemente "matura" per affrontare questo soggetto, così intimo e delicato per me.

Inizio quindi oggi a pubblicare queste nove liriche, ognuna dedicata ad una delle molteplici sfaccettature di questo personaggio, una alla volta, con la solita scadenza bisettimanale, e alla fine le raccoglierò in un'unica "pagina", per chi volesse valutare e comprendere il ciclo come un unico gesto narrativo.
Infatti, ciascuna delle composizioni potrebbe avere "vita propria" e indipendente, e in effetti lo ha, ma di certo pieno senso lo acquista solo quando è unita alle altre, come le perle d'una ideale collana, dall'unico filo della mia sensibilità.

Spero tanto che mi seguirete, in questo piccolo viaggio sentimentale nell'anima di una ragazza, fattasi donna.

Amiche dilette e amici fedeli, grazie per esserci. Vi dedico questa mia e tutte le prossime, come sempre, con amore

M.P. 












Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice

...But I don't want to go among mad people," Alice remarked.
"Oh, you can't help that," said the Cat: "We're all mad here. I'm mad. You're mad."
"How do you know I'm mad?" said Alice.
"You must be," said the Cat, "otherwise you wouldn't have come here."





I
Alice nella Tana del Tempo



Precipitare nel gorgo del Tempo
è cosa lieve, se a farlo è l'innocente,
se a narrarlo, in nenia infantile,
è il Poeta che intesse le rime
ai tuoi capelli di lino, come le rose
s'intrecciano sul pergolato - d'Estate.

Precipitare è un gesto bonario,
quasi una tenera divagazione,
nell'illusione di affrancarsi dalla pena
di vedersi strappare uno a uno
i giorni, e gli affetti, così come si sfoglia
la rosa nel vaso, nell'appassire, e morire.

Precipitare quasi senza una fine
nel nero del pozzo della memoria
ingombro d'oggetti e detriti e figure
e spoglie di affetto sepolte da tempo.
Sfidare la fine, che mai giunge,
e quando giunge, é un letto di rose.



Marianna Piani
Plateau d'Assy, 7 Aprile 2014

mercoledì 17 settembre 2014

Notte di mare



Amiche care, amici

E se lasciassi, questa volta, per una volta, davvero parlare i versi, soltanto i nudi versi?

Li accoglierete con la vostra consueta indulgenza? Con il vostro affetto?

Molto c'é di me in queste strofe, molto e profondamente sentito, per questo non vorrei dire nulla di più. Voglio soltanto intonare la melodia, e lasciarla libera di raggiungere chi la vorrà ascoltare.

L'avevo dedicata originariamente ad Elisa, e ora la condivido con voi tutte amiche dilette e amici cari, come sempre, con amore


M.P.






Notte di mare


Chi conosce la notte, sul mare,
chi ha vagato accanto agli scogli
ascoltandone inquieto la voce roca,
lo sa.

L'oscurità non è ciò che spaura,
non è il non vedere una fine
all'orizzonte, non sono i lumi tremuli
che sfarfallano lungo la riva
come spettri turbati, in cerca di pace,
non sono le carene
che schioccano invisibili
sopra le onde lungo il molo,
e non è neppure il molo
che s'inoltra come un pennone abbattuto
nel denso mistero delle maree.

Chi da solo s'è imbarcato
sopra una sparuta barca nel cuore
della notte e si è spinto più al largo,
temerario, lo sa.

Non è il vedere la riva ingoiata
dal buio, che fa vacillare la mente,
né sono le voci della gente -
le persone amate e le indifferenti -
che dissolvono in un silenzio fatale,
e non è lo scandire versi rimati
dei remi che si tuffano e rituffano
come fanno i cormorani,
ad ali chiuse, nella corrente.
E non è la corrente, che pure
ci trascina sul proprio dorso lontano
come fa il leviatano prima di
inabissarsi, misteriosamente.

Ebbene noi riposiamo sul fondo
della barca a godere le stelle
che ci fanno da volta indulgente,
e sorridono - alla nostra ingenuità.
Così umana.

Ciò che incute terso terrore
è constatare la suprema bellezza
di questo nulla senza barriere,
che opprime nel mentre avvolge,
questo pozzo verticale che seduce
mentre conduce con sé laddove
non avrà più alcun senso la luce.

Ciò che ci consuma nel cuore
è l'incanto sotto di noi delle onde
accese da inspiegabili opalescenze,
e questa ultima pallida luce
che ci culla come un immenso seno
di mamma, nel rimpianto che la luna
sopra di noi altrettanto immensa
ci impone, finché improvviso
è il guizzo argentato d'un salmone
fugace a ricordarci la sconfinata
libertà che ci attende, abissale,
o che forse già ci appartiene,
se solo intimamente l'accogliamo.

Stringimi la mano, stringimela forte
amore, qui sul fondo amaro allagato
della barca, fammi sentire la tua presenza,
poiché senza di te nella notte di mare

potrei gettarmi, e annegare.



Marianna Piani
Milano, 23 Maggio 2014
(Dedicata a E.B.)

sabato 13 settembre 2014

Casto è il cielo


Amiche mie care, amici,

Per chi di Poesia abbia una conoscenza un poco più che superficiale dirò che questa mia breve composizione è una delle mie prime consapevoli escursioni nel "classico": in pratica si tratta di un sonetto incrociato (tre quartine e quattro terzine - 4X3 + 3X4) in endecasillabi, quasi canonici. La mia ricerca in direzione di una forma poetica "classica" rivitalizzata nell'oggi, non è certo né nuova né originale. Risponde un poco a una mia esigenza costante d'ordine, di equilibrio, per non soccombere al disordine mentale che mi trascina sempre più spesso in baratri insondabili. È già da tempo che "ci giro intorno", ma ora, pian piano, sta iniziando a dare i suoi primi frutti.
Tuttavia, dopo cent'anni di "verso libero" (Da Leopardi in avanti) per la verità non sarebbe più possibile, se abbiamo una qualche onestà intellettuale, riprendere pari pari, di peso, una forma "antica", chiusa, e riproporla nel presente. Sarebbe non solo velleitario, ma anche sterile, e senza un plausibile sviluppo. Sarebbe insomma una operazione ai margini del gusto e dell'Estetica. Invece, il recupero di una versificazione diciamo così, controllata, all'interno di un linguaggio liberato (più che "libero", superando finalmente il genere) moderno, può essere una via, un mezzo tra i tanti (e assolutamente non l'unico) a disposizione per esprimere e per così dire imbrigliare un pensiero poetico.

Ma tutto questo è un discorso accademico, dedicato a coloro - direi "quei pochi" - che di questi argomenti si interessano, per passione, mestiere o studio. In realtà questa che ho socchiuso, in questa premessa, è la porta della "cucina", ma ciò che conta non è il processo, ma il risultato. Per restare nella metafora "gastronomica", è il gusto del piatto che interessa al commensale, non la ricetta. Del resto, per fare un buon piatto, o un buon dolce, la ricetta non basta, occorre la mano e il pensiero e il talento del cuoco. E io ne so qualcosa, dato che sono una pessima cuoca, nonostante possa liberamente attingere al ricco patrimonio di ricette (fantastiche) che la mia ex-mancata-suocera mi ha tramandato (le mia mamma era proprio come me, del tutto a disagio in cucina, un pesce fuor d'acqua).

Questa che segue - la composizione di cui sto parlando - nasce da uno di quei particolari momenti di sospensione, che tutti noi abbiamo provato prima o poi, in cui noi per qualche istante ci sentiamo vivere per così dire al di fuori dell'orbita vitale della persona amata: perché magari noi siamo già svegli, di primo mattino, mentre lei, arrotolata tra le lenzuola, ancora è immersa nell'incoscienza del sogno, paga e rassicurata semplicemente del fatto di sapere che le stiamo accanto...


Per voi amiche dilette e amici,
come sempre, con amore

M.P.







Casto è il cielo


Casto il cielo sopra il nostro destino
chiara la voce delle tue promesse
terso il ricordo del nostro piacere
inesausta la mia sete di te.

Vedo le nubi cercare compagne,
vedo spiragli vagare nell'ombra,
arde il sole i muri di calce e brace
aggrinziti come volti di vecchi.

La città che oggi vedo è splendente
di fuochi diurni e raggi d'estate
che schiantano sulle finestre serrate
discendendone una neve di stelle.

Eppure nulla è più profondo e atroce
del silenzio del perduto passante
che annaspa sul solitario selciato.

Vorrei io donna lanciargli la fune
d'un bacio come di estrema salvezza:
«Afferralo amico! La tua bellezza

di giovane uomo è il viatico estremo
al tuo cammino in queste paludi:
la solitudine non t'appartiene.»

Tu intanto, serenamente, tra i sogni
riposi, e ti osservo, come in veglia,
da sempre, con insaziata passione.


Marianna Piani
Milano, 22 Maggio 2013

mercoledì 10 settembre 2014

Spettro mio caro


Amiche care, amici

Un piccolo retroscena attorno a questo mio quotidiano "lavoro" sui testi che mi permetto di pubblicare e di sottoporre, come si sarebbe detto un tempo, alla vostra benevolenza?

Come sapete, salvo occasioni eccezionali, non "pubblico" mai un qualsiasi testo poetico in prossimità della sua prima stesura. È un tempo che mi sono imposta per riuscire ad avvicinarmi a ciascuna delle mie composizioni in modo "oggettivo", lontano dall'emotività della "ispirazione" d'origine. Lo sento anche come un obbligo di rispetto nei vostri confronti, in modo da riprendere ogni testo con animo vergine - per quanto possibile - e poterlo rivedere con un occhio critico, come se non mi appartenesse, in un certo senso. Evitando per quanto possibile così di tediarvi con materiale troppo grezzo, o disarmonico, o confuso, arruffato. Inoltre questo mi permette di avere sempre a disposizione un cospicuo "serbatoio" di testi inediti cui attingere per onorare per quanto possibile il mio appuntamento bisettimanale su queste pagine virtuali.

Ad ogni modo, accade così che nell'arco di tempo in cui dura la "quarantena" (anche 4/5 mesi a volte) mi scordi non solo della ispirazione che ha fatto scaturire la scrittura,  ma della poesia stessa, quasi come se non l'avessi mai scritta.
Per questo, ogni volta che mi accingo ad aprire il mio archivio, per me è quasi una sorpresa, sono curiosa di vedere "a chi tocca" (io ho ordinato le mie composizioni in modo rigorosamente cronologico), tra le molte poesie "in attesa", e assieme ad essa ritorna a me un frammento della mia vita. Non sempre felice, no, non sempre sereno.


Ho scelto questa premessa per "sdrammatizzare" in qualche modo la composizione che mi accingo a proporvi, nata da uno dei miei momenti di smarrimento, appena dopo essere riuscita, con l'ausilio della chimica, a riprendere un qualche controllo sulla mia mente. Il ritorno insomma alle mie tematiche più sofferte, quelle per cui la scrittura è realmente una "necessità vitale", un mezzo per tentare di capire ciò che mi è incomprensibile.
La prima stesura (e forse anche quest'ultima, nonostante l'abbia emendata nei passaggi più aspri o dissestati) portava ancora i segni evidenti di questo squilibrio, nella sintassi dislessica, nel declamato eccessivo, nella ritmica irregolare e sincopata. E forse proprio questo in fondo è il suo pregio, se ce n'è uno, quello di esprimere anche nel corpo espressivo e formale del testo un invincibile disagio.
Da sempre per me una domanda: è la mia condizione un destino, da accettare, o una condanna, da rifiutare? È la mia mente una, unica, e quindi anche questi momenti di smarrimento ne fanno parte, come queste parole, o questa scrittura; oppure è scissa, del tutto, e dunque un'altra me stessa a momenti prende il sopravvento? E se ciò fosse, che accadrà se - o quando - questa Marianna avrà sopraffatto l'altra?

Grazie, amiche e amici, per la vostra cara e affettuosa attenzione, vi dedico questa piccola "ode", come sempre, con amore.

M.P.



Spettro mio caro


Spettro della mia mente, accanto a me
riposa, non fuggire nei prati, o nelle piazze
delle città disertate nella notte.

Spirito audace, anima senza pace,
afferrami salde le braccia,
perché io non cada
nei precipizi della ragione,
non lasciare che sopravvenga
la geometria dell'esistenza
e soffochi l'incendiarsi del sogno,
la catastrofe irrisolta, l'edificio mirabile
dell'invenzione liberata; e liberami, tu,
invece, da ogni gabbia efferata
di senso, consenso, e consolazione.

Mio inseparabile specchio,
specchio oggettivo, senza il lume
di una qualche ragione, sublime
riflesso della mia natura,
giungimi in soccorso ora,
prima ch'io rinsavisca alla luce -
come la fulgida neve
fonde e sublima in tenue vapore
risalendo luccicando a quel cielo
che l'ha svogliatamente concepita
e generata, in un soffio di gelo.

Non lasciarmi cadere tra le braccia
della guarigione, non ributtarmi addosso
la torpida coltre dell'ordine salutare.
Restami amico, compagno, sodale,
ribelle con la mia ribellione,
avido, insaziabile, vorace di fede,
di verità, di illusione,
non mi concedere preda ferita
al disincanto, vorace,
rimani, sempre, vigile, vergine,
puro, sempre al mio fianco.

. . .

Hanno discusso a lungo di me
gli Angeli di Misericordia e quelli
aureolati, i Giudicanti Alati, e i Santi,
e hanno discusso dei demoni insani
che mi abitano visceri e cuore:
questo spettro mio caro,
questo delirio di seta e di trina,
questa luce che m'acceca
e il buio che s'espande a dismisura:
è tutto questo destino, o condanna?
È questa la fiamma che mi alimenta?


Angeli, dispiegate l'ali contro il cobalto
dell'inaccessibile cielo, Santi, tendete la mano
salvifica al mio cuore: ma preservate v'imploro


questa mia cara luminosa impietosa follia!



Marianna Piani
Milano, 6 Maggio 2014

sabato 6 settembre 2014

Mezzanotte, furtiva


Amiche care, amici

Condizione esistenziale ricorrente, le mie veglie insonni e solitarie, che cerco ostinatamente di riempire di scrittura, studio e lettura, ma che a volte rimangono semplicemente ciò che sono, una cavità - vuota - scavata nell'esistenza, da dove nemmeno l'eco di una voce, intrappolata, può sfuggire.
Allora i miei sensi si fanno acuti, come quelli di una gatta, ed esplorano ogni minimo suono, ogni minuscolo dettaglio, e emergono sensazioni, memorie. Come sa chi di voi mi segue da un po', questo è a sua volta un soggetto ricorrente nella mia scrittura, e non potrebbe essere diversamente: questo stato di attesa sensibile e tesa è il terreno elettivo di coltura per una ispirazione lirica, che per definizione è introspettiva.
Tuttavia, la scrittura non lenisce per nulla il disagio esistenziale, nonostante ciò che si può pensare. Curiosa la scrittura, e ogni altra forma sincera di espressione artistica: indispensabile, come un farmaco salvavita, o meglio, come una droga per chi la pratica per talento e vocazione, non serve in realtà a "curare" ciò che ci tormenta, ma soltanto a palesarlo. Quindi le mie notti insonni rimangono sempre dure, aspre da affrontare. Occorre, in quei momenti, un amore, in cui rifugiarsi, cui chiedere grazia e comprensione. Se non c'è, si rammenta di quando c'era, o si immagina di quando ritornerà: almeno - così - non ci si sente perdutamente sole.


Ebbene, il mio amore recente, che da non molto mi ha lasciata, è stato così, imprevedibile, improvviso, sorprendente, se pur costante, e puntuale. Giungeva scintillante e travolgente come una valanga di neve vergine, quando più lo desideravo e meno lo aspettavo, e poi fuggiva altrettanto all'improvviso, quand'ero ormai certa della sua presenza, rassicurata, avvolgendomi così di una sensazione di precarietà continua, onirica, evanescente, come se non riuscissi più realmente a distinguere ciò che accadeva in realtà e ciò che invece era frutto di una mia immaginazione.

Ma che amante straordinaria, istintivamente, con quel suo negarsi/concedersi senza regole, senza orari o tempi, senza predeterminazione, o premeditazione, senza progetti o programmi, sempre provvisoria, distante, e sempre invece definitiva, concreta, compenetrante negli istanti in cui era presente! Com'era - ed è - capace così di far letteralmente impazzire chi aveva - o ha - la (dis)grazia di esserne coinvolta!

Ecco qui, per voi, amiche dilette e amici, questo mio dolce e folle tormento: la notte,  la veglia, e l'attesa…


Con amore
M.P.





 
Mezzanotte, furtiva


Mezzanotte mi giunge, come mi giungi tu
all'improvviso e furtiva, nel mio letto
già sfatto alle mie ansie e tormenti
e bramosia di un sonno infine incosciente.

I portoni delle vie si serrano nell'ora
che dà la via alla notte, passano vetture
frusciando nelle strade, cariche di gelosia
o di rabbia o di dolorosi distacchi.

Un macchinario con clamore, lontano,
dilava il selciato, estirpandone i segni
delle umane miserie che vi aderiscono
come squame a una serpe di asfalto.

Sono i resti di sigarette ancora attizzate,
carte sgualcite di vecchi calendari, con date
ormai trapassate ancora cerchiate di rosso,
lattine aggrumate, cocci di vetro e di cuore:

detriti senza più riconoscibile forma,
memorie senza spessore, rimpianti
ormai consumati, come ossa rosicate,
avanzi d'amore afflosciati sulla banchina.

Mezzanotte mi giunge e, come fai tu,
mi cinge dolcemente le spalle, e i fianchi,
alitandomi suadente all'orecchio parole stellate
che avrei voluto udire assai prima che il sole

morisse - come di noia, come di consunzione.
Come fai tu, mi scompiglia i capelli, ridendo
piano piano, e io, nel dormiveglia, sogno
o credo di sognare l'arcangelo che sei

sfuggente, disarmante, folle, splendente,
discendere su me lasciando cadere il suo oro
sopra il mio viso, assieme al suo sguardo,
e le sue ali di fede avvolgermi tutta

come in un guscio, in una conchiglia,
in un'arca, in una vergine vulva.
Qui io cederò allora al sonno, finalmente,
oppure all'amore, oppure al sogno, oppure

al nulla.



Marianna Piani
Milano, 25 Aprile 2014

mercoledì 3 settembre 2014

Resurrezione e grazia


Lago Maggiore verso Sud Arona - Da casa



Amiche care, amici

Ero in quei giorni in quello che con gli anni, grazie anche alla bontà e comprensione del mio ex compagno e della sua mamma, è divenuto il luogo più amato dove rifugiarmi, nei momenti più cupi della vita, per tentare di ritrovare me stessa.
Non si tratta di un modo di dire, la mia malattia mi regala ricorrenti periodi di smarrimento, più o meno gravi, e quasi sempre, dopo le cure e più o meno brevi periodi di ricovero e osservazione, è proprio qui che provo a riannodare i fili slabbrati della tela della mia vita. Ogni ricaduta, è uno strappo, a questa tela, e ormai è una dolceamara consuetudine ritrovare il mio ex ragazzo che mi attende, all'uscita della clinica, per caricarmi in macchina (o se la stagione è buona, anche in moto), e portarmi di peso, come un pacco strapazzato da un viaggio tormentato, alla casa materna, mirabilmente affacciata, dall'alto di un'altura, sul Lago Maggiore.

Ormai in famiglia sanno dall'esperienza il potere potrei dire "terapeutico" di questi soggiorni (non me l'hanno mai detto, ma io non escludo che ne abbiano parlato anche con l'equipe medica che mi segue), dove per qualche giorno vengo ospitata, con una grande sensibilità e tenerezza (mai un cenno, nemmeno velato, alla malattia, né tanto meno ai miei trascorsi anche un po' burrascosi, di potenziale membro acquisito della famiglia), quasi sempre della mamma stessa, dal momento che lui ha la sua vita presa ormai tra Roma e Milano, e del tutto distinta dalla mia, e quindi non si trattiene che qualche ora.
A volte, come nell'occasione che fa da sfondo alla composizione che vi propongo oggi, anche senza "urgenze sanitarie", ma per semplice bisogno di tranquillità, sono io stessa che mi… ma sì, diciamolo, che mi autoinvito, da ladra di affetti e di bellezza quale sono, anche un po' sfacciata, lo ammetto.

Mai una volta che riceva un diniego o anche - semplicemente - una risposta meno che calorosa. La casa che mi ospita è grande, con numerose stanze, e trovo quasi sempre a disposizione quella che è ormai divenuta la "mia" cameretta, piccola, raccolta e adorabile, con un lettino, un armadio, un tavolino/scrittoio (per il mio vizio favorito) e una finestra con una vista sul lago poco lontano, in direzione della Rocca di Angera.
Questi luoghi sono i luoghi delle mie solitudini felici (quelle disperate hanno teatro piuttosto nella città, tra la folla, a Milano), e qui posso dimenticare per un istante il corso affannoso della vita di superficie, per immergermi nelle profondità dei miei pensieri, delle mie emozioni, e per studiare, leggere, disegnare... oziare.

Quasi come un seme caduto in un terreno fertile in una esposizione felice non può che germogliare, qui germoglia per così dire anche una parte importante della mia scrittura, come saprà chi ha avuto la pazienza di seguire queste pagine per un poco. I luoghi mi ispirano pace, magari rassegnazione, mai dolore, e mi trasmettono il respiro stesso della bellezza. Ne ricavo un materiale perfetto per abbozzare le mie figurine e i miei paesaggi, una creta morbida e malleabile, e il ristoro che trovo nella scrittura qui è pari quasi a quello che provo nel respirare quella brezza silenziosa, profumata di canneto e di bosco, di roseto e rododendro.

Ecco dunque, per voi, il mio giorno di Pasqua, in vista Lago. Come sempre, con amore.

M.P.

 


Resurrezione e grazia


Inaspettatamente, oggi al lago, il sole:
come una grazia concessa dalla natura,
come una primizia che rallegra il ramo,
come il sorriso d'una amica a lungo attesa.

Lucido e scintillante è lo specchio calmo
in cui riflettono i borghi e le abbazie lontane,
le ossa candide delle betulle spoglie
s'inarcano di piacere ai primi toni d'aurora.

Sulle macchie rade in bordo al bosco
lampeggiano giovani corolle squillanti fuoco
dalle loro tinte pure, nelle nicchie del camposanto
già dialogano con fervore le primule e le viole.

...Penelope s'attarda sulla soglia, sogguardando
il fondo della strada, Giulietta, trasognata
è accoccolata in mezzo all'erba, e Cassandra
scrive accosto alla finestra, guardando il cielo

che intanto si fa cupo all'orizzonte, e amaro.
Ofelia si perde nel cammino, tra le acque
dello stagno, e si perde la sua mente lieve
come un seme di soffione nel maestrale

trascinata verso il cielo, ove non v'è terra.
Né foresta, né radura, né speranza di germogliare.
Alice precipita capofitta dentro il tempo che le fugge
e si risveglia ancora bimba nel giardino delle rose.

Marianna è sola, affacciata al lago, e piange -
per la gioia di essere risorta, assieme al sole.



Marianna Piani
Nebbiuno, 20 Aprile 2014, Pasqua