«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 12 gennaio 2014

Uscire, ma piove



Amiche dilette, amici cari,

eccola, eccola qui la Marianna fluviale, fluente, irrefrenabile, era da un poco che non usciva allo scoperto! Il tema, l'ispirazione qui è però di quelle che mi trascinano e travolgono mio malgrado, abbiate pazienza...


Una mattinata autunnale, di pioggia sottile - così diversa dal mattino di sole invernale di oggi - molta malinconia, ma non solo: la voglia di uscire e di lasciarsi bagnare senza ritegno, abiti, gambe, scarpe, capelli, ma per un moto di purificazione, non di gioia scapicollata come il Gene Kelly nella New York di Singing in the Rain.
Voglia di "cantare sotto la pioggia", anche per me, in questa mia che vedete qui oggi, ma un canto ostinato e intessuto di rimpianto, e tuttavia anche privo di rimpianto. Perché quando lasciai chi fu per lunghi anni il mio uomo, dolce forte e saggio, in una giornata così simile a questa, fu per me una morte profonda, prematura, dolorosa, e insieme una rinascita, un travaglio, un parto, e come tale una luce nella mia vita. Uscivo dall'ombra dell'inganno, un meraviglioso dolcissimo inganno, per ritrovare la mia essenza, un ritrovato equilibrio finalmente, terribile, impegnativo, ed esaltante, tra la mia anima e il mio desiderio.
A distanza di tempo cerco ancora di comprendere il senso di questa mutazione, che in realtà non è una metamorfosi, ma un liberarsi da una crisalide per spiegare le ali al mondo, con tutti i rischi che ciò comporta. Non più la protezione, la serenità di uno scudo mimetico, ma il lasciarsi vivere per ciò che si è, da farfalla, se farfalle s'ha da essere.

Condivido con voi questi miei pensieri, amiche care e amici, come sempre, con amore.

M.P. 





Uscire, ma piove


Indossare la mia convinzione,
una schietta voglia di essere
ciò che sono, con quella fierezza
che a volte intravvedo, allo specchio.

Indossare il mio essere donna,
e donna essere, nell'incedere certo,
nel sentirmi osservata da cento sguardi
che m'inseguono, come ombre, fedeli.

Gli sguardi, io li amo, siano pur essi
di uomini, oppure di donne, li amo
poiché in quegli sguardi io sento vibrare
il desiderio, e il desiderio è mio sposo.

Uscire, come esce un fiore dall'erba,
come spunta un airone dal nido,
distende le ali con pigrizia, solennemente,
come i petali un giglio, irrorati di sole.

Indossare, anche, il mio coraggio,
tutta la mia audacia, la forza racchiusa
nelle mie mani, che tu mi dicevi nervose
come quelle d'un fauno, e io non capivo.

Non sapevo, come ora so, che cosa intendevi.
Indossare tutta la luce che accendevi
nel mio cuore, e il calore, il turbato calore
che accecava le mie pupille, dilatate nell'ombra.

Indossare la veste più bella, ingentilita
da una collana di perle che spicchi, sul nero
tessuto, come i denti del tuo sorriso, nella notte,
e raccogliere i capelli, come ali di corvo strette

in un nastro, ornato da una rosa di raso.
Una carezza di carminio sulle labbra,
un soffio d'ombra sulle palpebre chiuse,
un raggio solo di luce, fugace, alle guance.

Uscire. Quando invece si vorrebbe restare.
Quando ogni cosa al mondo smarrisce.
Uscire, uscire senza esitare, uscire
e seguire la donna che sono, bruna, minuta.

Sentire, sulle gambe nude sottili, pizzicare
la pioggia, fine fine, del novembre
alle porte, una pioggia che pare
un avvolgente, suadente invito all'oblio.

Ma dove sono gli oleandri, le foglie lobate blu scuro
che raccoglievano le gocce come fossero gemme?
E dove sono i viali di quei giardini intristiti,
occupati dai cani intenti a rovistare nell'erba?

Uscivo, allora, e non m'importava
se indossavo altro che non fosse la mia
disperazione, uscivo, e la pioggia sottile,
com'è ora, inzuppava i capelli, e la mente.

Momenti, lunghi, eterni, circolari momenti
in cui non sapevo in sincerità se era pioggia
ciò che sentivo scivolare sul viso, come lumache
piccine innanzi alla loro scia, oppure pianto.

Fosse pioggia, oppure pianto, lavava via
me da me stessa, e sottopelle emergeva
come da una placenta di cartilagine e bava
ancora cieca, inetta, una donna altra da me.

Io lasciavo te, e non ero io, io soccombevo,
e un'altra me stessa sorgeva, come un feto
prematuro annegato di luce, io sapevo
che non ero più io, ma non sapevo più chi ero.

Uscire, era rinascere dunque, alla vita,
era un percorso, che compivo con la gola
serrata dal groppo dei rimpianti, e addosso
una insostenibile soma di errori.

Uscire! E ti lasciavo, lasciavo il tuo sguardo
e non mi voltavo verso il balcone aperto
che sapevo deserto, lasciavo per sempre
le tue salde braccia, la tua indulgenza.

La tua pazienza. La tua tenerissima passione.
Mi possedesti, ma non mi avesti, eppure
mi completasti, lo giuro, in quegli anni brevi,
come il cielo completa d'azzurro il suo lago.

Uscire, uscire ora, e la pioggia sottile di allora
si confonde nel prato con un pianto, che ora
è solo ricordo; uscire, ma senza esitare,
silenziosamente, tenacemente. Uscire.

Ma piove. Sottile pioggia del novembre
incombente. Le gocce sulla pelle bianca
del viso, delle mani, delle gambe, bruciano
come mille minuscoli tagli sulla pelle, esangui.



Marianna Piani
Milano, 29 Ottobre 2013

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