«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 27 febbraio 2013

Facile è la Poesia


Amiche care, amici… Ho sentito spesso il bisogno di fare qualche riflessione su questa forma d'arte e di espressione, a me talmente cara da sentirla come una vocazione…
Una poesia sulla poesia… Una volta si sarebbe detta una "metapoesia"… In sè l'idea non mi è mai veramente piaciuta: la Poesia, in verità, non si discute, non se ne parla. Si fa. Oppure si gusta. Il parlarne, già in sè, può disturbare la magia, l'incanto che si crea tra scrittore e lettore. Può infrangere quella "quarta parete", quella della "rappresentazione", tanto importante per rendere viva, pulsante la comunicazione tra quei due mondi.
Tuttavia sentivo la voglia di esprimere, più che un ragionamento critico, o filosofico, semplicemente il mio folle amore per questo apparentemente futile, apparentemente facile (appunto), ma in realtà difficilissimo - se si vuole avvicinare la Verità - concatenare parole spillandole al filo delle proprie emozioni…
E dato che di amore si tratta, esprimerlo in poesia può avere senso…

Lo dedico a voi tutte, amiche e amici, e in particolare ad Alvaro, che tanta parte ha nella mia storia di donna che scrive…
Con amore, certo, più che mai.
M.P.



Facile è la Poesia


Facile è la Poesia,
non serve che un cuore,
un foglio, o un ritaglio di spiaggia,
e un giunco sottile, o un'unghia
per tracciarvi sopra parole.

Facile è la Poesia, basta un qualche sapere
e un pensiero che scorra in discesa
come nell'alveo d'un torrente, sfociando
schiumando e rombando infine
nel lago verde della nostra mente.

Sì, è facile, facile è la Poesia -
a migliaia, a milioni - come le stelle
sorgono i poetini, i poetucci, i poetastri,
le poetessine dei cuori e dei languori,
le belle animuccie, le sirenelle dei fiori.

Facile, così facile è la Poesia,
ognuno può imbattervisi, se appena vuole,
sulla sua via: è una fanciulla libera,
e franca, dai generosi seni, e fianchi ampi,
e potete prenderla, e possederla, se solo vorrete.

Ella vi darà una gioia mai provata, il fremito
d'un incontro fugace, o d'una notte
intera,
vi darà sè stessa, con grazia, senza ritrosia,
concedendovi per quegli istanti il senso pieno
della vostra stessa esistenza e vita.

Potete averla, la Poesia, è tanto facile,
e potete anche, se lo volete, amarla
del vostro amore più sincero, e vero.
Lei vi restutuirà in sovrabbondanza doni
e dirà a voi - di voi - cose da voi mai udite prima.

Tuttavia con questo non pensiate di avere accesso
assieme al corpo suo al suo amore, incondizionatamente.
Ella si dà, si apre, a chi l'ama, senza riserva,
ma ama soltanto colui che a lei si dà e s'abbandona,
e che a lei è pronto a dare la vita sua: interamente.

Facile, oh! facile, facile è amare, penetrare
la Poesia! Arduo, impensabile averla in sposa.
Occorre recare nel cuore infitto
il coltello a doppio taglio, affilato, aguzzo
del dolore vero, cupo, e della gioia troppo piena.

Occorre aver vissuto, ed esser morti, almeno una volta
e poi risorti, e aver divaricato i margini della ferita
della nostra pochezza e della nostra fragile vita,
in frantumi fino al punto di disperdersi nel vento
come un pulviscolo incorporeo e senza senso.

Facile, facile, facile è la poesia!
La potete incontrare, se volete, all'angolo
di quel vicolo, minimo il prezzo per un amplesso.
Incalcolabile quello per una vita in lei spesa:
Il prezzo intero della nostra impura esistenza.



Milano, 12 Gennaio 2013
Per Alvaro - mentore e insostituibile amico
Marianna Piani



domenica 24 febbraio 2013

Abbecedario XII



Amiche dilette e amici cari,
La emme è la Letterina Magica, quella che inizia il mio nome, tanto per cominciare…
Ed è la lettera con cui inizia il nome di alcune persone che ho amato o che amo…
E tante, tante sono le suggestioni che porta con sè: avrei potuto scrivere pagine e pagine…
Ma era un pigro pomeriggio di metà Luglio, ed ero sulla riva del "mio" lago, con dentro di me confitto il senso di una fine imminente, la fine di un amore, di una consuetudine di vita, e al contempo l'aprirsi di fronte a me di un tunnel che non sapevo dove avrebbe potuto portarmi…
La Malinconia, perchè questa è "l'ispirazione" che mi aveva fatto visita, è un tratto della mia esistenza così connaturato al mio carattere, alla mia anima, da non potermene mai veramente staccare.
Con il suo nome più "scientifico", "Melancolia", dall'etimo greco μέλας χολή, è anche considerata come una sindrome affettiva di varia gravità, ed è precisamente parte della mia diagnosi e condizione mentale… Lo dico poichè in queste "pagine" desidero essere me stessa per tutto ciò che sono, nel bene e nel dolore… Ed è questa condizione ciò che, in ultima analisi, produce, sfrigolando al calore della mia passione, gran parte di ciò che qui scrivo e dico. Non è parte scindibile da me, quindi lo devo accogliere e accettare, così come si accetta il colore dei propri occhi.
Come vedete, e come vi dicevo all'inizio di questo "viaggio", ciò che per me era cominciato come un "gioco", pian piano si è mutato in un viaggio dentro me stessa, sempre più profondo e spietato, cui faccio partecipi voi, per comunicare con voi un'esperienza autentica e sincera, l'emozione di scoprirsi, e la mia vita.
Per voi amiche care, e amici, quindi, come sempre, con amore.
M.P.



Abbecedario XII

 

M

come Malinconie.


Rimpiango, le mie malinconie.
Ora che la lama rugginosa e scheggiata
dell'Angoscia squarcia
il sipario del mio destino,
quel sospiro aggrappata allo steccato
sulla riva più riposta del mio lago, velato
dalle prime brume della sera,
quel solitario dialogare, da sola,
con la mia mente sola,
mi pare come un sogno
d'un lontano, irraggiungibile passato...

Appoggiavo, a quel tempo,

i gomiti al legno nudo,
le palme aperte sotto il mento,
e respiravo a fondo il sentore
lievemente amaro dell'argilla
e dell'acqua immota di quell'ansa,
incrociavo il piede destro dietro l'altro
appoggiandone il dorso alla caviglia,
e osservavo,
senza badare allo scorrere del tempo,
scorrere una barca in mezzo all'acqua,
pigramente, spinta a vogate lente
da un pensoso barcaiolo, controsole,
come fuso in un bronzo antico.

Mi chiedevo che passasse nella mente
di quell'uomo, solitario come me,
nel mezzo del suo consueto intento.
Come me, lontano dalla riva,
lontano da ogni umano affetto.
Mi chiedevo se, nel fondo,
il suo sentire in quell'istante
fosse poi così distante da quello mio,
di me, donna, estranea a lui, remota,
come potrei esserlo da un vecchio,

da un muro antico.

Eppure mai così vicina,
in quel momento,
più d'ogni altra persona al mondo.
Era il senso della fine?
Oppure il semplice cullare
delle brevi onde?
Oppure la vaga dolcezza del lasciare
che la vita scorresse sotto di noi
increspata appena,
come l'acqua scorreva allora
mite e silenziosa
sotto la chiglia levigata

della piccola carena?

. . .

Una breve, infinita, scia lucente
tracciata con sontuosa indifferenza
dal sole calante sulla valle
sommersa dalle acque.
La serenità del cielo terso.

Il candore della Rocca
e il silenzio dei villaggi 
che si rimiravano negli specchi
delle rive che chiudevano
la mia vista a Oriente...
E una invincibile, sconfinata,
inafferrabile, incoercibile
Malinconia.


Di fronte a Angera, 14 Luglio 2012
Marianna Piani

sabato 23 febbraio 2013

Acquerelli


«Radici, nel cielo...»

Amiche care e amici gentili, come sapete il mio "mestiere", ciò che mi dà da vivere, anche se assai a fatica e con molta parsimonia, è l'illustrazione, sorellina sbarazzina delle Arti figurative maggiori… Non sono una pittrice, per intenderci, ma qualcosa di molto vicino. Da piccolina ho giocato molto con tavolozze, tele, cartoni e colori.
Ora non più: ora, e da molti anni ormai, tutto si è trasferito dietro lo schermo di questa macchina, e si chiama Photoshp, Painter, Illustrator. Nomi che hanno sostituito quasi del tutto quelli gloriosi (e secondo me assai più "nobili" e ricchi di suggestione) di Winsor&Newton, Hammer, Schmincke, Derwent, e perfino Pantone, solo per dirne alcuni
Però il senso dell'immagine, della figura, dell'istantanea, del colore, mi sono sempre rimasti dentro, anche per autentica deformazione professionale, così come rimane forte in me il bisogno di lavorare direttamente la materia per ritrarre una sensazione puramente visiva, non concettuale. E a volte tutto ciò si trasferisce alla mia scrittura.
La scrittura è concettuale per sua natura, ma non così tanto per me, dato il background di cui vi ho appena accennato. E a volte emerge più prepotente ed evidente.
Come qui, ad esempio. Ero a trascorrere uno dei miei fine settimana al Lago Maggiore, tra colline ancora bruciate dal gelo e un cielo a tratti prodigiosamente azzurro. E la "ispirazione" si è rivelata essenzialmente figurativa.
Il mettermi al taccuino con una matita un poco spuntata (giuro, la tengo nella borsetta, e da qui, sballottata dal mio passo piuttosto spedito, ne esce molto provata) equivale allora all'antico gesto di sbozzare un'immagine con un pennello intinto in una cialda di pigmento…
Ecco, per voi, dunque, tre svelti quadretti, tre acquerelli, appunto, in stile vagamente impressionista.

Con amore
M.P.



Acquerelli

I

Bruma fredda all'orizzonte:
come sospesi in un cielo sottosopra
immersi nel vapore bianco
abbagliante, virginale,
rami neri adunchi e torti
sfregiano l'aria grigia e morta
come crepe profonde
in un impalpabile muro.


II

Il Sole incantato d'inverno
fonde la brina dai campi,
dai prati, dalle brughiere,
dagli sfasciumi scomposti,

irrisolti.
Il calore del tenero affetto
in noi riposto dagli umani
che amiamo per il loro amarci
incondizionatamente,
come l'astro a mezzogiorno
ama quell'erba semiassiderata
dall'abbraccio del ghiaccio,
così quel calore fonde il nostro
lacerato gelido orgoglio.


III

Per non vacillare
per non esser divelta

da venti impetuosi,
la mia mente, febbrilmente,
butta pensieri al cielo,
tenaci, intricati, avvinghiati,

infitti come radici,
intessuti come nervi.

(Ostobbio, Nebbiuno - 14 Gennaio 2013)
Marianna Piani


mercoledì 20 febbraio 2013

Labbra di ciliegia


Amiche care e amici. Mi prendo una pausa da tanti pensieri e riflessioni, e cupezze.
Questo che segue è un ritrattino, uno schizzo veloce, fatto in punta di matita, d'istinto, la figura di un'amica che si allontana, in fretta, nella folla, dopo un incontro. Con tutta la indaffarata e affascinante bellezza di una giovane donna immersa nella vita. Capace di intelligenza, attività, e pensiero. Tutto insieme. Tutto in una volta.
Noi donne siamo multitasking da sempre, lo sappiamo bene… I nostri amici maschi non ne sono ben consapevoli, e ci preferiscono immaginare "distratte" o "incostanti". Invece siamo solo veloci e leggere nel percorrere i sentieri della vita. Tra concretezza e sentimento.
La dedico a tutte voi, ovviamente, ai nostri amici gentili, perchè ci comprendano meglio, quando per caso facciamo ritardo, o abbiamo la mente lontana, in altri luoghi.
E a Mara, che l'ha ispirata. E al suo rossetto color ciliegia. Con immenso affetto.
M.P.



Labbra di ciliegia
 


Ti ho vista fuggire lungo la via, intenta, affrettata,
con la tua agile, fiera, sicura falcata di cerva.
Hai dato un'occhiata, quasi di sguincio, al polso,
all'orologetto fucsia disperso tra i bracciali corallo.

Potevo indovinare il tuo sguardo altero,
mentre scoccava un lampo di stizza
per il ritardo, tu che ti vuoi sempre puntuale,
e la stizza - forse sapevi - ti faceva più bella.

Ragazza affaccendata, svelta, in questa città
che rumoreggia e ronza già come un'alveare,
la vita ticchetta in fretta i tuoi tacchi sopra il selciato.

Batti qualcosa furtiva sul telefonino cromato
e intanto il tuo sguardo appassionato si perde
nelle cento affastellate stanze della tua mente.

Tu sei nella vita un'anima in corsa, eppure
il tuo spirito indomito, sensualmente scintilla
dalle tue lucide morbide ridenti dolci labbra:

labbra ancor di fanciulla. Labbra di perla.

Labbra di frutta. Labbra di ciliegia.

(A Mara)
Marianna Piani
Nebbiuno, 13 Gennaio 2013

domenica 17 febbraio 2013

Abbecedario XI

Cassiopea


Amiche care: undecimo capitolo del nostro piccolo abbecedario poetico…
Molte sarebbero le possibili suggestioni provocate dalla lettera L.
A cominciare da Libertà, il Bene più grande, quello che comprende e dà senso a tutto. Nulla può avere un valore per l'Umanità, senza questo Bene primario…
Invece ho scelto la Luce, che con Libertà ha molto più in comune di quanto si possa immaginare: Anche la luce rivela il mondo, ogni cosa. Senza luce, come senza Libertà, ogni cosa è destinata alla tenebra, all'inconosciuto!
La Luce è ciò che ci consente di godere della Bellezza, dei Colori, della forma sensibile dell'Universo che ci circonda…
E per questo ho scelto un'angolazione particolare, uno sguardo verso lo Spazio Profondo, una prospettiva quasi astromomica, quella scienza che più della Luce ha indagato la natura e misurato le dimensioni…
La luce poi da qui dilaga, illuminando l'intelletto, divenendo essa stessa scaturigine di Verità e, prima ancora, di Civiltà.
Come sempre, la dedico a voi, amiche dilette e amici, con amore.
Ma in particolare la dedico alle mie amiche Artiste, Cecilia L. e Paola Emme che della Luce hanno fatto la loro partitura, la loro tavolozza, la loro penna poetica…
M.P.



Abbecedario XI
 

L

come la Luce

Siderale è ciò che sale
dal profondo del tuo occhio bruno
irrompendo nella Materia Oscura
come il fiammante deflagrare
della supernova di Cassiopea.
Ogni oggetto è travolto
dal dardeggiare del tuo sguardo intenso,
ogni pensiero è reso vero
dalla luminanza del tuo intelletto quieto,
ogni sentiero è rischiarato
dalle lanterne della tua coscienza,
ogni ombra della ragione
è squarciata dai bengala
delle tue figure di passione
e di speranza.

Ogni notte la mia follia, senza luna,
è dispersa dall'aurora del tuo amore,
e ogni abisso di dolore
è irrorato dalle fiamme sfavillanti
delle torce delle tue visioni.
Ogni insignificante frangia del Creato
è misurata dal tuo raggio esatto,
perfetto, retto, infallibile, coerente,
ogni paesaggio, ogni volto, ogni figura,
ogni tratto, ogni sottile piega d'emozione,
ogni tono di colore, ogni sfumato,
ogni vibrato, ogni trillo, ogni squillo,
ogni riso, e ogni grido, ogni voce
e ogni canto e coro e canone e preghiera,
e lamento, e pianto, e ragione, e sguardo,
e ogni elementare incontro
tra spezzata, retta e curva:

ogni sospiro della vita è distillato,
nella tua mente fervida e febbrile,
dal pigro evaporare sopra ogni forma
dell'essenza rivelatrice tua, Luce,
e della tua meditante e schiva
sorella:
...l'Ombra.


Milano, 13 Luglio 2012
(Dedicato a Cecilia e Paola)
Marianna Piani


sabato 16 febbraio 2013

Rivivrò: se


Amiche care, una poesia lieve, leggera come una farfalla, un poco diversa da molte delle mie composizioni più dense e complesse… L'ispirazione è venuta da una mia amica, poetessa lieve e discreta, che me ne ha suggerito il soggetto…
Io riemergo da un periodo di oscurità e di morte, in cui ho provato in modo invincibile l'attrazione che a volte gli abissi esercitano su di me. E questa piccola composizione, quasi una canzoncina, è espressione del mio grido d'aiuto in cerca di un motivo per ritornare ad esistere…

La dedico a tutte voi amiche care, e voi amici, e in particolare a Laura, la mia Dolcestellina…
Con amore, come sempre
M.P.



Rivivrò: se...

 

Toglietemi, vi prego,
l'ansia atroce
muta, senza volto
che mi consuma
respiro

per respiro,
e rivivrò.

Strappatemi di dosso
la corazza di ghisa
della grigia paura
che mi schiaccia
sotto un peso
troppo immane per me,
e rivivrò.

Liberatemi dal giogo,
dalla morsa ghiacciata
di disperazione
che mi attanaglia
come un granchio
le viscere spietata,
e rivivrò.

Scrostate dal mio viso
esausto, dopo il viaggio,
gli schizzi del fango,
delle torbe, delle polveri
rosse d'argilla della mia
intollerabile angoscia,
e rivivrò.

Estirpate dal mio corpo
aggrappato alla roccia
battuta dalla tempesta,
estirpate le radici
più tenaci
del mio smarrimento.
E rivivrò.

restituitemi il sorriso
che ho disperso
nella mia fuga
senza fiato
dalla segreta
del passato
e rivivrò.

Datemi il potere
di danzare sulle punte
sopra l'arco del cielo
e la libertà di cantare
accanto alle stelle,
null'altro,
e, ve lo giuro:

rivivrò.

Io ri-vivrò!


Milano, 9 Gennaio 2013
A Laura, con affetto e riconoscenza.
Marianna Piani

mercoledì 13 febbraio 2013

Violata Viola


Amiche care, e amici, a volte si sente una urgenza, dentro di noi, che ci spinge a narrare storie che hanno segnato in modo particolare la nostra vita. Allora l'ispirazione si fa dolore, e dobbiamo lottare perchè questo dolore non ci soppraffaccia, togliendoci la forza e la capacità di comunicare.
Occorrerebbe sempre un certo distacco dalla propria emozione per poter elaborare qualcosa di compiuto, in grado, attraverso una tecnica appresa ed affinata con gli anni, di comunicare questa emozione, e non più, almeno momentaneamente, viverla. Se la forza di un'emozione fosse sufficiente per rendersi comunicabile al mondo, allora l'artista non avrebbe più un ruolo, nè l'arte un senso. Al contrario, occorre assai fatica e impegno, talento e tecnica, occorre fare appello a tutte le proprie forze, per imbrigliare un'emozione troppo intensa in modo che non si appropri dei nostri strumenti, vanificandoli.

Ciò che qui di seguito affido alla parola, è qualcosa che custodisco dentro di me da anni, ed è una delle cose che più mi ha segnato come donna, in modo indelebile, anche se non fu qualcosa che ebbi a soffrire direttamente.
Avvenne in una notte dei miei ancora inconsapevoli sedici anni. Una mia coetanea, un'amica cara, una "migliore amica", molto fragile e bella come un verde giunco, venne avvicinata mentre si recava, in abito luccicante, innocentemente provocante, da festa, per l'appunto a una festa, cui ero parte anch'io, e subì violenza.
Non fu una violenza "grave", in quanto l'aggressione venne interrotta, per qualche motivo ignoto, e l'autore si diede alla fuga. La mia amica, che qui chiamo Viola, ne riportò "soltanto" contusioni ed escoriazioni, ma assai più profondo e grave fu il trauma intimo, psicologico da lei subito. Da lei e indirettamente da tutte noi sue amiche più intime e vicine. Lei poi abbandonò la nostra scuola, e si trasferì in una diversa città, e noi non la vedemmo più. Dell'aggressore non si seppe nulla, e non è improbabile che sia ancora in giro, da qualche parte, in compagnia spero del suo rimorso e della sua vergogna.
Questo episodio si depositò nella mia anima, e vi rimase per sempre.
Il mio impegno contro la violenza "quotidiana" nei confronti della donna, che molti di voi conoscono, forse ha le sue radici più vive in questo antico ma indelebile episodio. Io qui con questa composizione desidero evocare il mostro infame, supplicando che la civiltà del mondo sia in grado di elaborare finalmente qualcosa che ne renda sempre più difficile la manifestazione.

Ve lo affido, questo canto, che mi è costato fatica e bruciore di una ferita sempre aperta - "poesia civile" a modo mio - senza odio, ma con amore, come sempre.
M.P.




Violata Viola


Viola scese all'inferno
in una notte serena d'inverno
iniziata come tante altre
con l'attesa eccitante d'una festa.

Viola si volle bella
e bella era, libera
come una stella, uscendo
nel sereno cielo quella sera.

Indossava i sandalini rossi
con il fiocco, e l'abito bianco
che le scopriva le spalle
e le lunghe gambe di nervosa cerva.

I capelli, sciolti con spensierata cura,
morbide onde di luce color rame,
giocavano innocenti rimpiattini tra le spalle
e la culla bianca del suo casto seno.

Sentiva su di sè gli sguardi
e ne gioiva: desiderabile era
e lo sapeva. Quella sera voleva soltanto
esser dal mondo amata per ciò che era.

In altri tempi, l'intimidiva quel mondo:
vedeva sè stessa quale un'airone
dalle ali e zampe troppo fragili ancora
per poter spiccare da sola il volo.

La vita con lei fu avara, di gioia vera,
ma ora splendevano per lei astri
nel cielo, che le sorridevano attratti:
non si disconosceva più, lei, come un tempo.

Oggi, orgoglio e fierezza le erano al fianco
conferendole il diritto regale passo
delle ragazze coscienti della bellezza
che lor dentro preme per uscire in luce piena.

Si avviò con falcata lunga e svelta
senza sapere che si avviava allora
all'appuntamento con ciò che
le avrebbe scosso per sempre corpo e vita

Tutto avvenne così rapidamente
in una istantanea successione di eventi,
come un vortice che la risucchiasse improvviso
rudemente verso l'abisso e la tenebra profonda.

Non ricordò nulla, dopo, per sua fortuna:
il ribrezzo e il dolore assieme, pietosi,
avevano steso il manto greve dell'oblio
sopra le sue contuse raggelate membra.

Soltanto poi avrebbe rammentato,
e per sempre rivisto nel suo sguardo
lo sguardo cieco del predatore, opaco,
sopraffatto dalla sua stessa cupidigia.

Eppure, in quello sguardo ella colse -
per un solo istante, nella foia annegato -
prima di serrare le palpebre, colse il terrore,
quasi a specchio del suo stesso orrore.

Non fu il dolore, che la travolse,
ma fu l'offesa la ferita più profonda,
e il sentire sopra la sua pelle candida
aderire come un fango, un letame, mota.

E fu tutto inumano: non umana era
la verga che aveva lacerato la sua carne:
era un piolo senz'anima confitto
nel più segreto del suo intimo costato.

Non umano era quel fiato
che le investiva il volto,
era un mantice di tossico fiele
era un morbo, un madido esalare d'odio.

Nulla potè, e nulla fece
serrò gli occhi e strinse i pugni
anche gaffiare d'odio quella massa cupa
anche quello le ripulse troppo.

Appena fu sola, vomitò, piegata in due
sopra il selciato lurido di fango
e mozziconi di sigaretta, e sterco,
e stette, a lungo, lì, accovacciata, muta.

Riaprì infine gli occhi
e si levò in piedi, barcollando.
Il vuoto che l'invadeva ora dentro
l'annientava: nel suo vuoto si diresse infine.

Non ne fu cosciente, Viola,
non ne fu cosciente a lungo,
ma di quel giorno e per sempre
la sua mente avrebbe recato sfregio.

Confusamente comprese dentro sè
che da quella notte il senso dell'umano
per lei s'era incrinato per sempre.
E provò un indicibile senso di gelo


e morte.

. . .
 

Oh! nostri cari compagni, amici, amanti,
padri e fratelli, vi scongiuro, vi imploro:
lavate per sempre dal vostro volto e cuore l'onta,
e salvate con noi il vostro umano onore e decoro!


 

Milano, 11 Gennaio 2013
Marianna Piani

domenica 10 febbraio 2013

Abbecedario X



Care amiche, carissimi amici, ecco un nuovo foglio del nostro piccolo abbecedario in Poesia…
A questo punto della mia vita (la data riportata sotto è quella di prima stesura) entravo in una vertigine di avvenimenti che mi avrebbero portato molto presto ad un cedimento completo del mio equilibrio psicofisico, da cui ancora oggi stento ad uscire. Il "gioco" iniziale si stava trasformando ormai in un vero e proprio "scavo" all'interno delle mie più profonde inquietudini. Del disorientamento in cui la mia anima si stava perdendo.
Qui però la mia "ispirazione", ancora non del tutto coinvolta nel crollo che stavo vivendo, mi suggerì un piccolo apologo, quasi una fiaba: senza happy ending… Ma con una "morale" finale, proprio come le fiabe della tradizione…

Come sempre, la dedico a voi, con amore.

M.P.




Abbecedario X

I

come l'Illusione



Vanessa nacque
nel cuore del canneto
che costeggia il lago
dalla parte in cui il sole
sorge all'alba da dietro
le cime di calcare
che sovrastano la vallata.

La magia della stagione
si compì per lei al primo raggio
che colpì lo scrigno d'ambra
che la racchiudeva,
e lo squarciò d'un tratto
come il fendente
di una spada affilata
affondata fino all'elsa.

Stette a lungo aggrappata
sulla cima di quello stelo,
nuda, esposta ad ogni morte
in attesa che si tendessero nell'aria
mirabili come visioni
le immense lussureggianti ali sue
aranciate nere e bianche.

Nell'attesa, contemplava
dagli occhi sfaccettati come diamanti
l'azzurro del cielo e le nubi pellegrine
che parevano chiamarla
come si chiama una compagna
che ritarda di partire
per il lungo viaggio verso Oriente.

Presto ebbe coscienza, Vanessa,
che quel manto
da regina alata
era ciò che solo poteva elevarla
a raggiungere le sue
più inesprimibili
irraggiungibili visioni.

...

Silenziosa, solitaria
a lungo lottò contro il vento
cercando con ogni forza
di raggiungere le pallide compagne
che le sorridevano di lassù
nell'Eden irragiungibile: distante
come il miraggio di un mattino.

Finchè esausta,
planando verso il basso
per riprender fiato,
scoprì un'altro cielo,
d'un azzurro fin più puro, iridescente,
incastonato come uno zaffiro di rocca
tra le rocce color corallo.

E in quel cielo vide risalirle incontro
una creatura così amabile
quale mai aveva veduta prima.
Così seppe, senza dubbio alcuno,
per la prima volta nella sua breve vita,
d'essere innamorata perdutamente
della beltà splendente
d'una alata creatura
a lei sorella.

Il suo volo fu elegante allora,
rosseggiante,
inebriante come un valzerare all'infinito,
che la compagna ripeteva speculare
con fedele tenerissima attenta cura.
Quando quel lungo volo fu compiuto
e quel cielo luccicante
fu vicino, alla distanza
d'un solo fiato, d'un respiro,

all'improvviso
dall'azzurro fattosi pervinca
emerse un guizzo rapido
di squame diafane verderame,
seguito da uno schianto
e un tonfo breve
come d'un sasso che cade

dentro il lago inerte.

. . .

Fu così che Vanessa ebbe appena il tempo
di comprendere che nel preciso istante
in cui svaniva la sua vita,
il suo amore si polverizzava
in un fiore di luccicanti perle d'acqua:
l'illusione cui per un momento
lungo quanto la sua vita intera
ella così tenne fede - ciecamente.

E comprese anche
che l'illusione è fede.

Poi fu il niente.




Milano, 12 Luglio 2012
Marianna Piani

sabato 9 febbraio 2013

Al-Iskandariyya




Il Faro di Alessandria

Amiche carissime, amici, riprendo oggi una vecchia mia idea, quella dei "concerti".
Un'amica, scrittrice giovanissima e secondo me di grandissimo talento, mi ha inviato qualche giorno fa una sua lirica. Breve, densa, fulminante, evocativa.
Provate ad aprire la vostra mente e a leggerla senza fretta, cercando di far risuonare dentro di voi ogni parola… Non vi sembra di sentire, prima ancora di capire un senso compiuto, la suggestione di un'atmosfera, il vento caldo, le morbide bollenti dune, e quelle "donne di sapienza straordinaria", che ci interpellano d'un tratto, inquietandoci, e quel senso di smarrimento e di vertigine finale, che vi ruba il fiato?…
Io ammiro immensamente la capacità di sintetizzare tutto questo in pochi colpi di pennello, sapienti e sicuri! Una dote che non mi è propria, come molte di voi sa bene, e che per una ragazza così giovane è ancora più miracoloso. Da giovani, penso molte di voi lo sappiano bene, la tendenza è opposta, quella di voler dire tutto il dicibile…
Ebbene, ho voluto risponderle "a modo mio", con un'eco di suggestione alle visioni evocate dai suoi versi… Ed eccezionalmente (Paola: ho detto eccezionalmente) pubblico subito, lasciando la scrittura al suo stadio di bozzetto, appena uscito dalla penna. Perchè è l'unico modo che ho trovato per potermi accostare alla freschezza di questa scrittrice che sta sbocciando come un'orchidea al mattino...

E ora dedichiamo tutto a voi, amiche dilette e amici cari, con amore.
M.P.




Alessandria prima di dormire
quanto viaggia il mio pensiero
qui si concentra il vento dell'Africa
difficile arrivare fino in città
donne di sapienza straordinaria
qui morirono per te
non lascio inascoltata l'eco di vecchie civiltà
ma io sola so quanto servirebbe
un faro alla mia rotta


Gmail, 5 Febbraio 2013
Eleonora - LadyLindy



Al-Iskandariyya

Vento di sabbia, vento di dune,
vento di delirio, di suggestione
di un'Africa densa, incollata
alla memoria come il sudore
aderisce le vesti di lino bianco
traslucenti alla pelle combusta.

Vento che reca profumi
dal mare e dalle stanze
dei bordelli, profumi di donne
dagli occhi lampeggianti
come le voci nei minareti
rabescati di devozione.

Fiato d'Africa profonda, quel vento
per chi l'ha vissuto, o soltanto
immaginato, o sognato.
Fiato greve, stagnante
nella mente esausta
dal peso di troppa Storia.

Vira repentino il battello
della memoria, doppiando
il capo dei pensieri di roccia
incrostati dal fiammeggiante
corallo del desiderio.
Il faro veglia la nostra notte.


Nebbiuno, 9 Febbraio 2013
Marianna Piani


mercoledì 6 febbraio 2013

Rio Grande


Amiche care, amici, una composizione breve, che ho scritto - letteralmente - in due tempi molto staccati uno dall'altro. Lo "scheletro" dell'idea lo abbozzai ancora parecchi mesi fa. Poi l'appunto è rimasto nei miei taccuini a lungo, defilato. Infine, ho ripreso l'idea e l'ho riscritta, dandole una struttura e un'armonia di suono. Immagini e pensieri che si inseguono. In una danza inensata. Che è la danza circolare del pensiero...
Per voi, con amore, sempre
M.P.



Rio Grande

Che valore, che peso,
che forma o luce
o misura o densità
o energia hanno
i miei pensieri?
Sgorgano.
Senza intenzione alcuna
se non di vedere il cielo.
Scorrono: spumeggiando
turbolenti, scintillando al sole
come ripidi torrenti - e presto
si gettano nel Rio Grande
che senza urgenza, placidamente
discende la pianura bruna
in larghe anse, abbracciando
isole inviolate di mangrovie,
sorprendendo città e genti,
incrociando deserti e ponti
e mandrie di bovini
intenti, e infine
improvviso
si getta vasto nell'Oceano.
Disperdendo così per sempre
le acque e i pensieri
nel niente
del troppo immenso.

Il peso del mio pensiero
è nullo.


Milano, 6 Febbraio 2013
Marianna

martedì 5 febbraio 2013

Miele di Tiglio


Amiche care e amici, questa direi è, semplicemente, una poesia d'amore. Ispirata dal ricordo e dalla suggestione di un attimo di abbandono.
In verità la "genesi" di questa composizione è molto semplice, quasi banale. Me ne stavo tutta sola a sorseggiare il mio tè del mattino quando mi cadde l'occhio sul barattolo di Miele che avevo davanti (io nel tè metto sempre un poco di miele, mai zucchero) e mi resi conto che aveva quasi esattamente il colore dei capelli della persona che poi evoco dai miei ricordi in questa lirica. Da qui è scaturita una catena di sensazioni, di memorie, con un meccanismo del tutto spontaneo. L'amore è qualcosa che investe tutti i nostri sensi e li travolge. Li fonde in un'unica onda che ci pervade fino ad annullarci e a confonderci in essa…

Dedico questi versi a tutti voi, amiche e amici, come sempre con amore…
M.P.



Miele di Tiglio
 

È il colore dei tuoi capelli:
è il lago dolcemente ondulato
in cui affogo le dita
per turbare lo sguardo
del sole al tramonto
che s'attarda a specchiarvisi
come un fulgente Narciso.

Odorosi di miele
e di tiglio sono, lo giuro,
i tuoi capelli,
quando mi avvicino
per posarvi le labbra
e respirarne le fragranze:
mi inebria sentirmi aderire
le labbra
a quei fili di seta iridescenti
fini come raggi d'aurora.

E del tiglio e del miele
- credetemi! - hanno il sapore,
i tuoi capelli,
quando ne stringo una ciocca
tra i denti, per gioco
- tu ridi, travolta d'allegria,
senz'alcuna malizia,
nè innocenza -
per assaporare
ogni loro essenza.

Del miele hanno
il moto pigro
l'andamento denso
i tuoi capelli pigri, sinuosi,
e del tiglio hanno la voce
e il sibilo lieve
quando il vento
li gonfia e agita e frusta
come la lunga chioma
d'un salice immenso
d'Oriente.

Del tiglio, mia cara,
ha la nobiltà,
del miele ha la luce
e la traslucenza
l'impalpabile vellutata buccia
di pesca che ti copre le gote,
pronta ad accogliere
il tepore di ogni mio
appassionato bisbiglio.

Del miele infine
e del tiglio, amor mio,
ha colore, e sapore,
e profumo, e suono,
e il morbido tatto
il riposto prato
che febbrile con le dita percorro
ricercando quello scrigno segreto,
ricolmo di gioie e di gemme.

Riposerà il mio corpo
come morto
consumato d'ardore
sopra quella ambrata zolla,
ardente, palpitante,
fragrante, dolce,
avvolgente:
odorosa
di miele di tiglio.



Milano, 9 Gennaio 2013

Marianna Piani


sabato 2 febbraio 2013

Abbecedario VIII e IX

Nato come un gioco, un pretesto per liberare la fantasia, divenuto via via un percorso interiore, una confessione, il racconto e la scoperta di un'anima in un momento di svolta. Ogni lettera dell'alfabeto, depositata come un seme nel giardino della mente per far germogliare pensieri. Una dopo l'altra, in rigoroso ordine alfabetico, venticinque composizioni, venticinque tappe di un pellegrinaggio, del tutto libero, aperto, sincero e indifeso. Le pubblico ora per voi, una dopo l'altra, a cadenza regolare, e le raccolgo poi via via in una pagina dedicata "Abbecedario", così da averle sempre accessibili, tutte assieme, come vagoncini agganciati uno all'altro.


Care amiche e gentili amici. Siamo ormai a un terzo del viaggio, nel nostro piccolo abbecedario poetico.
Ricordo quando mi sono trovata di fronte a questo dilemma: la lettera "H", così particolare nella nostra lingua: farne un capitolo, oppure tralasciarla (come avrei fatto poi - almeno per ora - con altre "ospiti" illustri extracomunitarie del nostro idioma, come la "K", la "Y", la "J", la "X" e la "W".)
La lettera "H" è un jolly dispettoso e alquanto "misterioso", una lettera "muta", anche se a volte si incarica di tradurre fonemi particolari non traducibili sulla carta in altro modo.


Alla fine, senza che lo avessi minimamente previsto o programmato, mi sono trovata tra le mani addirittura due composizioni.

La prima è quasi uno scherzo, inteso in senso musicale, ed è il tentativo di rendere la caratteristica peculiare del puro segno, non fonetico, senza voce, di questa lettera particolarissima. Una escursione nel significante, prima che nel significato, cosa piuttosto rara nel mio modo di esprimermi.
Il secondo tentativo, che pubblico subito qui in sequenza, tenta invece di renderne il suono, con suggestioni di atmosfere rarefatte e venti d'alta quota. Può parere a prima vista un approccio più tradizionale, eppure, se avete la bontà di osservare con attenzione, anche qui mi sono affidata a un escamotage extralinguistico, cosa che non amo molto e che di solito evito. Ma qui volevo "anche" divertirmi un pochino alle vostre spalle...

 
Tutto questo però non è soltanto un gioco di "costruzione", perchè per me ogni composizione ha una sua inevitabile densità emotiva, e in ogni composizione filtra la mia anima e il suo fondamentale profondo disorientamento…

Per voi, come sempre, con amore.
M.P.




Abbecedario VIII

H

come H Muta

Come il verbo muto
senza suono, soltanto forma
d'un pensiero a forma di cancellata:
HHHHHHHHHHHHHH
che ne sbarra il senso.
La sutura chiusa con il filo
d'un pensiero tagliente
come una ferita:
ciò che non potrò mai dire
nè pronunciare a voce piana,
pena lo smarrimento
della mia stessa mente.
Senza suono alcuno
come ciò che griderò afona
al mondo e all'uomo e all'epoca

e alle stelle
senza poter esser compresa
nè ascoltata,
nè mai la vita mia

compiuta.
Come il silenzio
che mi travolge
nel mezzo della folla
dove mille grida, mille lemmi
si scontrano deflagrando
uno nell'altro
elidendosi

e annichilendosi a vicenda
sfuggendo dalla integrità della materia,
eludendo i sensi di chi guarda e ascolta,
come nel cuore catastrofale
di un ciclotrone di protoni di parole.
Per mutarsi infine
in pura energia concettuale...


Milano, 31 Gennaio 2013
(data di revisione)

Marianna Piani  



Abbecedario IX


H

come H Sonora

Come

l'Himalaya,
il luogo puro,
il luogo intatto,
il luogo sconfinato,
il luogo senza luogo,
il luogo senza tempo, o suono,
fuorchè la voce dell'Aliseo selvaggio,
il solo luogo dove lo sguardo umano
può sostenere direttamente
per pochi istanti, senza fine,
lo sterminato sguardo del Divino
prima di chinare il capo
di schianto, sopraffatto.


Il luogo che il Poeta
ogni istante della sua esistenza
instancabilmente tenta a nude mani
di risalire, ostinatamente, senza fiato, spesso invano,
piantando a martellate dentro roccia e ghiaccio
i chiodi e i moschettoni delle sue sillabe
d'acciaio e di dolore e di preghiera.
Anela di potere anch'egli, di lassù,
per un solo istante, per il tempo

d'un respiro, per un battito d'ala,
fissare diritto in viso il Dio Umano
e interrogarlo, a pena della vita,

per puro anelito di conoscenza,
sopra la vera verità della vita
e il suo riposto, segreto

ineffabile inganno,
ed estremo
cimento.


Milano, 1 Febbraio 2013
(Data di revisione)

Marianna Piani 

 

venerdì 1 febbraio 2013

Lanterne


Amiche care, amici. La cosidetta "ispirazione" (che io preferirei chiamare "stato di grazia") è un'amica fedele ma bizzarra. A volte scompare, per i fatti suoi, per giorni e giorni, a volte pensi addirittura che sia partita per sempre, per altri lidi, senza neppure salutarti. A volte invece ti chiama, ti tempesta di telefonate, nei momenti più inopportuni, mentre lavori, o sei al bagno, o dal parrucchiere, o chiacchieri con amici… Non è che ci si siede sul bordo di un lago al tramonto con il capo tra le mani e gli occhi trasognati, la punta della penna tra le labbra… In questi casi, se provate a fare così, lei non si fa vedere affatto, dispettosa, per ripicca, o per timidezza semplicemente.
Altre volte ancora, non di rado, la incontri sulla tua strada, inattesa, che ti reca in dono una visione, una prospettiva nuova, l'idea di un pensiero, una gemma di saggezza da condividere con il mondo…
In tutti questi casi comunque non v'è nulla da fare: se è lontana è inutile cercarla, non la trovereste. Se invece vi chiama, non potete - non potete! - non rispondere, qualunque cosa stiate facendo.
Questa breve elegia, dal tono un poco classicheggiante, è uno di quei rari casi in cui lei, la "ispirazione", mi si è presentata in un momento "opportuno", anche se sempre inattesa, originando una di quelle composizioni che scaturiscono spontanee, senza alcuno sforzo, generate da un particolare istante, da una immagine.
Ero appena rientrata da una passeggiata notturna, in una nebbia non fitta ma tale da trasformare le luci dell'illuminazione stradale in silenziosi guardiani e la loro luce in aloni indistinti e incostanti, che mi accompagnavano mentre col cuore in gola per la solitudine del luogo e del momento, mi affrettavo verso casa. Tutto qui, il resto è una catena di pensieri liberi, e la nostalgia di una presenza, attorno a me, avvolgente, protettiva…


Ho dedicato questi versi a un'amica fraterna, che mi riscalda con il calore del suo affetto.
E li dedico a tutte voi, amiche e amici, con amore.
M.P.



Lanterne

 

Perchè non sei tu
la luce delle lanterne
che fiocamente gettano
il loro sguardo tremulo
rivelando e celando alterne
l'inesplorato viale
che arditamente sale
fin sulle gelide cime
del mio destino e fine?

Perchè non sei
quella docile brezza
che come un cucciolo fedele
mi corre incontro festante,
m'investe di guaiti, e morsi,
e codate e bave,
e gioiosi balzi
fino a farmi vacillare,
e infine ai miei piedi avvolto -
placato - s'accuccia?

Perchè non sei la brina
che al mattino
riveste, insinuandosi
fin nel più riposto anfratto,
d'una veste baluginante
di glitter e brillantini
ogni oggetto,
ogni luogo
ogni prato e poggio
del mio paesaggio?

Potrei amarti allora
respirandoti soltanto:
sentendoti avvolgere
sommergere
appannare
come una nebbia
il mio corpo tutto.



Milano, 8 Gennaio 2013
A Mara
Marianna Piani